Thursday, October 27, 2022

Pgpl

 Piano generale di politica linguistica per la lingua friulana

Piano approvato dalla Arlef nel febbraio 2021

Analisi critica del Piano 1. Obiettivo centrale del Piano:

Obiettivo: di “rendere il friulano una lingua parlata e scritta in ogni situazione comunicazionale della vita pubblica e privata”, permettendo “ai cittadini di esercitare a pieno il proprio diritto di espressione in lingua friulana, senza la necessità di dover ricorrere ad un’altra lingua”. (p.8)

2. A.

B. C.

3.

Situazione odierna:

“In estrema sintesi, il modello prevede una contrazione di circa il 23%-24% della massa dei friulanofoni regolari e una diminuzione complessiva dei parlanti del friulano dell'11% entro il 2050. Le proiezioni indicano quindi che quasi un quarto dei locutori regolari sparirà entro il 2050. Si tratta di 100.000 parlanti regolari in meno in 36 anni. ...Tuttavia, le previsioni evidenziano due punti fondamentali. In primo luogo, senza un determinato e coerente intervento di politica linguistica il declino né si arresta né rallenta. In secondo luogo, la situazione non è però ancora compromessa e non è troppo tardi per influire efficacemente sulla vitalità della lingua a lungo termine. Una massa di parlanti regolari di circa 405.000 persone nel 2020 è un solido punto da cui partire per stabilizzare l’uso della lingua friulana nel futuro se si sarà in grado di intervenire con continuità e di investire adeguate risorse nella sua tutela e promozione.” (P.35)

“Si lamenta inoltre il fatto che la lingua friulana sia poco visibile a livello istituzionale, e dunque la difficoltà nel farla entrare nella quotidianità.”

“Non tutti i giovani coinvolti conoscono gli strumenti di scrittura, consultazione e correzione messi a disposizione dall’ARLeF per la lingua friulana.”

Come il friulano è visto dai parlanti:

A.

merito al valore culturale delle lingue,... Da un lato abbiamo un rifiuto netto delle opinioni che svalutano il friulano, la sua importanza e il suo uso in diversi contesti. Ma questo rifiuto tende a vacillare e a ridursi quando la lingua friulana è esposta al confronto diretto con gli ambienti istituzionali o pubblici, o quando si utilizza nonostante qualcuno non la comprenda, oppure qualora venga sentita come imposta.” (P.29) B. La famiglia è il primo contesto in assoluto nel quale si utilizza il friulano, seguita dagli amici d’infanzia

C. Il friulano rappresenta la lingua degli affetti,

D. Il friulano è quasi soltanto lingua parlata, e c’è timore nel cimentarsi con le regole scritte; è sempre fortissima la sovrapposizione tra lingua e grafia.

E. Il friulano prende vigore quando si è all’estero, e il fatto che dal di fuori si riconosca interesse verso questa lingua, ne aumenta certamente lo status. (P.31)

4. Come rimediare la situazione:

“Nella ricerca “si è evidenziata una dinamica che da un lato vede risultati molto favorevoli in


A. “Un ruolo importante lo hanno avuto sicuramente lo sviluppo delle applicazioni in campo informatico quali il Grant Dizionari Bilengâl Talian Furlan (GDBtf), disponibile anche come applicazione per telefoni cellulari, il Coretôr Ortografic, la Tastiere Furlane Semplice, e il traduttore informatico “Jude”.” Altre iniziative del genere sono pure proposte, come lo sviluppo di un dizionario “unilengal.”

B. “Sembra ragionevole investire anzitutto nelle aree territoriali dove è maggiore la concentrazione di parlanti e dove il friulano è usato più frequentemente, e questo al fine di puntellare il suo uso e la sua trasmissione, lasciando però ai parlanti, a seconda dei luoghi e dei contesti, il compito di elaborare la propria sintesi fra tradizione e modernità.”(P.9)

C. “Va subito specificato che un piano di politica linguistica non è, e quindi non deve essere visto, come un arbitrario tentativo delle autorità di imporre dall’alto usi linguistici alla popolazione. Esso è molto più semplicemente uno strumento di azione collettiva che permette a una comunità politica, tramite le sue istituzioni, di dare sostanza alle norme in materia di tutela e promozione di una lingua minoritaria che sono già state adottate in passato in modo trasparente e democratico. I parlanti restano sempre e comunque i padroni della lingua e gli arbitri del suo utilizzo.” (P.6)

D. “Affinché la lingua friulana possa entrare in ogni forma di comunicazione, è necessario che si stabilizzi una forma standard accanto alle sue varietà, che vengono lasciate alla spontaneità individuale. Solo una lingua uniforme può entrare là dove ha origine la comunicazione eterodiretta (radiotelevisione, stampa, scuola) e solo se questa viene stabilizzata in strumenti specifici di riferimento e di consultazione (dizionari, correttori ortografici, grammatiche normative) per ogni produzione linguistica destinata alla diffusione.

I dizionari sono i depositi stabilizzati e stabilizzanti della lingua...(P.86)

5. Ruolo della Arlef:

A. Promuovere “la conoscenza e l’uso della grafia ufficiale della lingua friulana”;

B. Promuovere le “attività, svolte da soggetti pubblici o da soggetti privati particolarmente qualificati, finalizzate a promuovere la lingua friulana nei settori dell'editoria, dello spettacolo e della ricerca scientifica.”

C. “Al fine di garantire una coerente implementazione del corpus della lingua friulana, compete in via esclusiva all’ARLeF ogni decisione in merito alla standardizzazione e normalizzazione della lingua friulana, ai neologismi, alla grammatica, alla pronuncia, all’ortografia, al lessico e ad ogni altra questione linguistica.”

D. “L’Agenzia è pertanto il vero e proprio braccio operativo della Regione nelle attività di promozione del friulano.

6. Norme fondamentali che tutelano le minoranze linguistiche in Italia:

Art. 1. (della Costituzione) (Legge 482/1999)

1. La lingua ufficiale della Repubblica é l'italiano.

Art 2. La Repubblica, che valorizza il patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana, promuove altresí la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge.

I paragrafi 1-6 presentano in sintesi la sostanza del Piano Generale di Politica Linguistica per la lingua friulana. L'obiettivo centrale del Piano—di “rendere il friulano una lingua parlata e scritta in ogni situazione comunicazionale della vita pubblica e privata”—è senz‘altro lodevole; e le lodi sarebbero ancor più meritate se riuscisse, grazie ai provvedimenti da esso proposti, a preservare le varianti e ad arrestare o almeno a frenare il declino del numero dei parlanti. Sull'esito e successo del Piano però, e


purtroppo, è lecito dubitare, e per varie ragioni. Gli ostacoli più significativi, comunque, sono due.

In primo luogo è la natura stessa della lingua friulana. Il Piano riconosce che il friulano è composto da una varietà di dialetti (friulano centrale, friulano occidentale, ecc.). Inoltre, la lingua friulana non è nessuna di queste varianti in se stessa ma è invece l'insieme di ognuna di esse. In secondo luogo è lo scopo stesso di voler tutelare la lingua friulana: per quale motivo vogliamo che il maggior numero possibile di friulani sia capace di esprimersi bene in friulano, nel parlare e nello scrivere?

Ostacolo primo. Il friulano è composto da diverse varianti, ma per il Piano è necessario che “si stabilizzi una forma standard accanto alle sue varietà, che vengono lasciate alla spontaneità individuale.” La promozione di una forma standard, però, non è attuabile senza far danno alle varianti. È da notare che per alcuni non è vero che la forma standard sia una delle varianti: per essi la forma standard è una lingua che tutte le varianti hanno in comune. Corrisponde questa asserzione alla realtà delle cose? Non sembra. Infatti, se ciò fosse vero, non si verificherebbero curiosità e controsensi come questi:

-Applicazioni come il Grant Dizionari Bilengâl Talian Furlan servono gli interessi—quasi esclusivamente—del friulano centrale. Per me—tanto per dare un esempio—che uso il friulano occidentale, questo dizionario (per ben fatto che sia) mi è di utilità molto limitata. La risposta che ottengo spesso quando cerco l'aiuto del dizionario è un semplice (e onestissimo) “parola non trovata,” con l'aggiunta, non priva di ironia, di “cirivistu, ecc.”, espressione di un friulano prettamente centrale che ha ben poco in comune con la variante occidentale. Esempi di parole che provocano la risposta “parola non trovata“: ic, cìcara, cica, socia, vu, ecc. E se in un attacco di nostalgia cerco la parola friulana per chierichetto, il Grant Dizionari mi offre—con quello che giurerei è un sorriso sardonico—“zagut”, che significa proprio chierichetto—ma non nel friulano occidentale (nel quale zagut diventa “mùcul” o “mucul”), bensì nel friulano di là da l'aghe.

Il Coretôr Ortografic dovrebbe pure esso—secondo quanto leggiamo nel Piano—essere di grande aiuto non solo per coloro che scrivono nella forma standard della lingua, ma pure per coloro che scelgono di scrivere correttamente in qualsivoglia variante.

Ho voluto mettere alla prova due brevi componimenti, il primo un sonetto di Ermes di Colloredo e l'altro una poesia di Pier Paolo Pasolini. Il risultato? Non troppo incoraggiante, come vediamo dalle due immagini. È da temere che i poveri Pasolini e Colloredo non sarebbero rimasti del tutto entusiasti dai suggerimenti (in rosso) offerti dal Coretôr.

  

Si potrebbe obiettare, notando che i componimenti scelti sono poesie, e che non è giusto evalutare poesie facendo uso di un correttore ortografico. Osservazione giustissima. Ma qual'è allora la funzione di questo Coretôr se non lo si può applicare negli scritti di due dei maggiori autori della letteratura friulana? È un quesito, questo, che ci porta dritti al secondo ostacolo.

Ostacolo secondo. A che scopo la tutela del friulano? Ci è detto che lo scopo è di stabilizzare una forma standard affinchè la lingua friulana possa entrare in ogni forma di comunicazione (4D, sopra). Ciò significa che il friulano deve renderci capaci di comunicare più o meno allo stesso livello dell'italiano, e con la stessa efficacia in ogni ramo della conoscenza. È questo veramente lo scopo? Se lo è, e se è raggiungibile solo con la creazione di una forma standard del friulano, non corriamo il rischio di reprimere aspetti della lingua che non si adattano volentieri a cambiamenti imposti dall'esterno? È un bel dire che accanto alla forma standard, lascieremo le varianti alla loro “spontaneità individuale.” Non significa, questo, che le varianti verranno, in effetti, relegate all'oblivio?

Non sono i segni di questo abbandono già evidenti in questo Piano di politica linguistica? Cos'altro, infatti, sono il Grant Dizionari, con le limitazioni già mostrate, e il Coretôr Ortografic, che può forse essere di autentica assistenza ai parlanti del dialetto friulano centrale, ma, come dimostrato, del tutto inutile per le varianti?

Ma c‘è dell'altro. Il dominio del dialetto centrale del friulano è visibile pure nel campo della segnaletica, con l'insistenza che i nomi dei comuni vengano esposti nel friulano standard. Stessa cosa nei social network, in particolare nelle pagine Facebook della Arlef, dove ogni post e ogni annuncio sembra essere di questo stampo:

E voaltris lis comedaiso o lis lassaiso rotis? 😜 Cuâl isal il significât di chest mût di dî?

Belli e divertenti questi annunci o quesiti, e soprattutto leali alla forma standard del friulano, ossia alla variante di là da l'aghe.

Ci è dato da intendere che “un piano di politica linguistica non è, e quindi non deve essere visto come un arbitrario tentativo delle autorità di imporre dall’alto usi linguistici alla popolazione” (4C, sopra). Si vorrebbe credere alla veracità di questa asserzione. Gli esempi appena offerti, purtroppo, suggeriscono ben altro. Un ultimo esempio: fra le sue diverse funzioni, la Arlef ha pure il compito di “promuovere le “attività, svolte da soggetti pubblici o da soggetti privati particolarmente qualificati, finalizzate a promuovere la lingua friulana nei settori dell'editoria, dello spettacolo e della ricerca scientifica” (5B, sopra). Anni or sono la casa editrice Del Bianco, friulana, si era offerta di stampare e pubblicare la mia traduzione dell'Orlando Furioso. A quei tempi ci tenevo molto a questa offerta, ma i costi essendo stati per me un po' troppo esigenti, mi rivolsi alla Arlef per assistenza, la quale, lo ammetto, si mostrò disponibile, ma solo a patto che io riscrivessi il mio lavoro (ognuna delle quasi cinquemila ottave del Furioso) nella grafia del friulano standard. Se, poi, ci risovveniamo dell'assistenza finanziaria che la Arlef riceve in via diretta o indiretta da Roma per la tutela e promozione della lingua friulana—della quale somma, se non sbaglio, le varianti, ricche nella loro “spontaneità individuale,” ricevono poco o nulla, ci accorgiamo che alla lingua friulana, nel suo contesto storico-culturale, rimane ben poco da sperare. E quel poco lo si può forse trovare in una osservazione del Piano riportata più sopra: “Sembra ragionevole investire anzitutto nelle aree territoriali dove è maggiore la concentrazione di parlanti e dove il friulano è usato più frequentemente, e questo al fine di puntellare il suo uso e la sua trasmissione, lasciando però ai parlanti, a seconda dei luoghi e dei contesti, il compito di elaborare la propria sintesi fra tradizione e modernità.” (4B) Proprio questo, dunque, è il punto chiave sul quale ci resta da sperare: di lasciare ai parlanti il compito di “elaborare la propria sintesi fra tradizione e modernità.”


Come elaborare la sintesi fra tradizione e moderità

Pasolini, in uno dei suoi scritti, ci offre una possibile soluzione:

“Quando parlate, chiacchierate, gridate tra di voi, adoperate quel dialetto che avete imparato

da vostra madre, da vostro padre e dai vostri vecchi. E sono secoli che i bambini di questi posti succhiano dal seno delle loro madri quel dialetto, e quando diventano uomini, glielo insegnano anche loro ai propri figlioletti. [...] il dialetto è la più umile e comune maniera di esprimersi,

è solo parlato, a nessuno viene mai in mente di scriverlo. [...] Se a qualcuno viene quella idea,

ed è buono a realizzarla, e altri che parlano quello stesso dialetto, lo seguono e lo imitano, e

così, un po’ alla volta, si ammucchia una buona quantità di materiale scritto, allora quel di-

aletto diventa “lingua”. La lingua sarebbe così un dialetto scritto e adoperato per esprimere i sentimenti più alti e segreti del cuore. [...] Quando un dialetto diventa lingua, ogni scrittore

adopera quella lingua conforme le sue idee, il suo carattere, i suoi desideri. Insomma ogni scrit- tore scrive e compone in maniera diversa e ognuno ha il suo “stile”. Quello stile è qualcosa di interiore, nascosto, privato, e, soprattutto, individuale. Uno stile non è né italiano né tedesco

né friulano, è di quel poeta e basta.” (P. P. Pasolini, Dialet, lenga e stil, in P. P. Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte)

A primo impulso si è forse tentati di deridere il Pasolini per questa sua teoria dell'evoluzione di un linguaggio, di come, cioè, un dialetto diventa lingua. E difatti non esiste contrasto più netto fra questa teoria (di progressione naturale fra diletto e lingua) e la metodologia promossa e applicata dal Piano Generale di Politica Linguistica e quindi dalla Arlef, il cui obiettivo è puntato sulla creazione e sviluppo di metodi di scrittura e di standardizzazione anziché sull'appoggio alla creatività individuale dei parlanti.

Storicamente, però, è la teoria del Pasolini—o qualsiasi altro concetto di come nasce e si sviluppa una lingua in modo naturale—che prevale. In questo riguardo dovrebbe bastare uno sguardo all' evoluzione della lingua italiana, che nasce dalla frammentazione e volgarizzazione della lingua latina e, in seguito si evolve grazie all'intervento di personalità come San Francesco e poi dei grandi genii italiani, Dante, Petrarca, Boccaccio, e pIù tardi dell' Ariosto, del Tasso, e poi ancora dei loro discepoli che coi loro esempi, e non certo grazie ad agenzie dedicate alla promozione della lingua, cimentarono la lingua italiana. Mentre in altre parti della nostra penisola la lingua volgare lussurreggiava, nel nostro friuli il volgare rimaneva per secoli quell'insieme di parlate che conosciamo. Di Dante e Petrarca non ne spuntarono mai in terra friulana ad elevare coi loro lucenti esempi le nostre ruvide parlate. Ci chiediamo: ma perché questo sbilancio? perchè questa straordinaria assenza? Si potrebbero offrire molte ipotesi, tutte, però, avviluppate in incertezze. Sappiamo che molti artisti venivano sovvenzionati dalla Chiesa nell'età medievale e rinascimentale, e che poeti come l'Ariosto avevano l'appoggio e la protezione di famiglie ricche come quella degli Este di Ferrara. Forse queste sovvenzioni non esistevano nel Friuli medievale e rinascimentale, specie nel campo della poesia. Può darsi. La mancanza di scrittori all'altezza dei grandi ferraresi o toscani, tuttavia, rimane un fatto storico. Ed è in questa mancanza che si può trovare la vera ragione dell'intorpidimento del volgare friulano. Se questa, però, era la realtà del nostro friuli medievale, si può con buona ragione affermare che la situazione non è più la stessa. Nel tardo rinascimento— risulta—il Friuli ha avuto un poeta di cui si può vantare e grazie al quale una delle varianti del friulano ha dimostrato di possedere autentiche capacità poetiche. Parlo, ovviamente di Ermes di Colloredo. Quello che conta ancor di più, però, è stato l'avvento di Pier Paolo Pasolini che con il suo genio poetico ha dimostrato che la capacità letteraria della lingua friulana è da trovarsi in più di una delle sue varianti. E— notiamo— questa capacità è stata dimostrata in ambedue i casi (quello del Colloredo e quello del Pasolini) senza nessun appoggio o sovvenzione.

Il lettore potrebbe obbiettare: ma se c'è verità nella teoria del Pasolini sulla genesi e sviluppo di una lingua, perchè mai una lingua friulana scritta non ha preso piede e sostanza attorno agli esempi dati dal


Colloredo e dal Pasolini stesso? Per quanto riguarda il Colloredo a questo quesito si potrebbe rispondere semplicemente coll'osservare che ai suoi tempi la stragrande maggioranza degli italiani, inclusi i friulani, era analfabeta e quindi incapace di emularlo nei suoi scritti. E ai tempi del Pasolini il nucleo letterario che si stava formando ebbe, all'inizio degli anni Cinquanta, lo strappo violento che conosciamo.

Un'osservazione sulle sovvenzioni:

La Repubblica italiana, come abbiamo già visto (6, sopra), tutela e valorizza non solo la lingua friulana in se stessa, ma “promuove altresí la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge,” inclusa la lingua e cultura friulana. La costituzione della lingua friulana nella varietà dei suoi dialetti fa parte della storia del Friuli ed è perciò alla radice della cultura friulana. Sembra irrefutabile, quindi, che se vogliamo ritenere e valorizzare il “patrimonio linguistico e culturale” del Friuli dobbiamo fare il possibile per riconoscere il valore non di una sola delle varianti della lingua ma di ognuna delle varianti. Questo, al momento, non viene fatto, o viene fatto solo in maniera così tangenziale da essere praticamente insignificante, come attesta l’obiettivo fondamentale del Piano Generale di Politica Linguistica per la lingua friulana, (cioè, di “rendere il friulano una lingua parlata e scritta in ogni situazione comunicazionale della vita pubblica e privata”) in cui non si fa nessun riferimento a cultura. Non credo di essere in errore nel pensare che gli stanziamenti allocati dalla Repubblica per finanziare le attività descritte nel Piano Generale verrebbere realizzati anche nel caso che gli enti provinciali a carico della tutela della lingua avessero come obiettivo non solo la standardizzazione della lingua ma pure la valorizzazione dei suoi aspetti storico-culturali, i.e., delle varianti.

Rivediamo, in breve, la situazione di oggi.

L'obiettivo principale degli organi di tutela (la Arlef in primis) è semplicemente quello di “rendere il friulano una lingua parlata e scritta in ogni situazione comunicazionale della vita pubblica e privata.” Per lodevole che sembri, questo obiettivo ha come necessaria conseguenza la scelta di una delle varianti della lingua e l'abbandono, o almeno la trascuratezza di ogni altra variante. Anche la lettura più superficiale del Piano Generale di Politica Linguistica rivela chiaramente che questa è la realtà delle cose: milioni di euro vengono stanziati per la standardizzazione della lingua friulana—nel campo della segnaletica, della scuola, della pubblicità, ecc. Quale percentuale di questi milioni vengono allocati alla tutela delle altre varianti è facile immaginarlo. Per critici che si voglia essere, tocca, purtroppo, accettare la necessità di questo stato di cose. Non c'è via di scampo: senza il sacrificio delle varianti non si può arrivare a una standardizzazione. Ma la standardizzazione non è un male in se stessa: è, infatti, qualcosa da desiderare. Quello che è veramente un male è la maniera, se non addirittura violenta, almeno prepotente di realizzare questo obiettivo. Se questi termini sembrano esagerati, si vedano i commenti stessi del Piano (3A-D, sopra), secondo i quali è dimostrato che l'imposizione della versione standard è vista come un oltraggio ai valori culturali della lingua, come lingua di casa, e degli affetti. Il male c'è, insomma; ed è proprio lì, in questo oltraggio.

Ma potrebbero le cose essere differenti?

La risposta ce l'à data il Pasolini, come abbiamo visto: “il dialetto è la più umile e comune maniera di esprimersi...se a qualcuno viene quella idea (di scriverlo) ed è buono a realizzarla, e altri che parlano quello stesso dialetto, lo seguono e lo imitano, e così, un po’ alla volta, si ammucchia una buona quantità di materiale scritto, allora quel dialetto diventa “lingua”. La lingua sarebbe così un dialetto scritto e adoperato per esprimere i sentimenti più alti e segreti del cuore....”

È questo il metodo che, come nel dipinto di Michelangelo in cui Dio allunga la mano verso la mano di Adamo, ci ha donato la lingua italiana; ed è lo stesso metodo che, grazie alle opere di scrittori come il Cervantes, Chaucer, Shakespeare, Goethe, e perfino Luther, hanno raffinato e arricchito lo spagnolo,


l'inglese e il tedesco.

La situazione è quella che è; e a noi che osserviamo dai lati non ci resta che di sperare che il friulano

sopravviva come lingua e come cultura.

Ci rimane un rimpianto: che non siano (stati) applicati metodi più naturali—come già accennato— per mantenere in vita la nostra lingua e la nostra cultura.

Fetterman disabled? So?

 To WP

Dear Editor


Yesterday's  debate  between candidates Fetterman and Oz  “revealed the ableism inherent in the electoral process and the added scrutiny that candidates with disabilities receive compared with their non-disabled counterparts,” tells us Amanda Morris (WP, Oct. 27/22.) Ms. Morris may well be right; but is this sort of “ableism” necessarily wrong? Shouldn't voters be entitled to expect that their representatives—particularly at the highest levels of goverment—do not have the sort of disabilities that keep them from thinking clearly? If Fetterman has such disabilities, shouldn’t he yield to someone whose thought processes are more likely to enable him to perform well at his assigned job? Ms. Morris—and WP—comes dangerously close to suggesting that, no, that someone cognitively impaired should be given the same chances as someone who is mentally fit. sadly, this is an argument the logic of which would compel us to give a blind person the same right to drive as someone with 20-20 vision, or compel the manager of a World Cup soccer team to have on his roster an equal number of weak-kneed or weak-hipped players as of perfectly fit players.

No, if Mr. Fetterman is cognitively impaired he simply should not be running for one of the highest positions in the country.

Ermes Culos

Ashcroft BC

12504539519

Wednesday, October 19, 2022

Abortion vs pregnancy

 Dear editors


It evidently is your editorial opinion that “pregnancy itself is far more dangerous than abortion.” (Sci-Am, October 2022)

I realize you made this statement in the narrow sense of the risks that go along during the period of gestation leading up to childbirth, as opposed to the risks of going through an abortion procedure. There is a broader sense, though, in which this statement can be understood. In this broader sense pregnancy is unquestionably more dangerous than abortion. Abortion ends life; pregnancy leads to life, and life, by the mere fact of being life, is—yes—dangerous, it is full of risks. It would not otherwise be life at all. It is the very reason why abortions are carried out. Even so, is there anything more precious than life?

Ermes Culos,
Ashcroft, BC

Monday, October 17, 2022

Pgpl

 Piano generale di politica linguistica per la lingua friulana

Piano approvato dalla Arlef nel febbraio 2021

Analisi critica del Piano 1. Obiettivo centrale del Piano:

Obiettivo: di “rendere il friulano una lingua parlata e scritta in ogni situazione comunicazionale della vita pubblica e privata”, permettendo “ai cittadini di esercitare a pieno il proprio diritto di espressione in lingua friulana, senza la necessità di dover ricorrere ad un’altra lingua”. (p.8)

2. A.

B. C.

3.

Situazione odierna:

“In estrema sintesi, il modello prevede una contrazione di circa il 23%-24% della massa dei friulanofoni regolari e una diminuzione complessiva dei parlanti del friulano dell'11% entro il 2050. Le proiezioni indicano quindi che quasi un quarto dei locutori regolari sparirà entro il 2050. Si tratta di 100.000 parlanti regolari in meno in 36 anni. ...Tuttavia, le previsioni evidenziano due punti fondamentali. In primo luogo, senza un determinato e coerente intervento di politica linguistica il declino né si arresta né rallenta. In secondo luogo, la situazione non è però ancora compromessa e non è troppo tardi per influire efficacemente sulla vitalità della lingua a lungo termine. Una massa di parlanti regolari di circa 405.000 persone nel 2020 è un solido punto da cui partire per stabilizzare l’uso della lingua friulana nel futuro se si sarà in grado di intervenire con continuità e di investire adeguate risorse nella sua tutela e promozione.” (P.35)

“Si lamenta inoltre il fatto che la lingua friulana sia poco visibile a livello istituzionale, e dunque la difficoltà nel farla entrare nella quotidianità.”

“Non tutti i giovani coinvolti conoscono gli strumenti di scrittura, consultazione e correzione messi a disposizione dall’ARLeF per la lingua friulana.”

Come il friulano è visto dai parlanti:

A.

merito al valore culturale delle lingue,... Da un lato abbiamo un rifiuto netto delle opinioni che svalutano il friulano, la sua importanza e il suo uso in diversi contesti. Ma questo rifiuto tende a vacillare e a ridursi quando la lingua friulana è esposta al confronto diretto con gli ambienti istituzionali o pubblici, o quando si utilizza nonostante qualcuno non la comprenda, oppure qualora venga sentita come imposta.” (P.29) B. La famiglia è il primo contesto in assoluto nel quale si utilizza il friulano, seguita dagli amici d’infanzia

C. Il friulano rappresenta la lingua degli affetti,

D. Il friulano è quasi soltanto lingua parlata, e c’è timore nel cimentarsi con le regole scritte; è sempre fortissima la sovrapposizione tra lingua e grafia.

E. Il friulano prende vigore quando si è all’estero, e il fatto che dal di fuori si riconosca interesse verso questa lingua, ne aumenta certamente lo status. (P.31)

4. Come rimediare la situazione:

“Nella ricerca “si è evidenziata una dinamica che da un lato vede risultati molto favorevoli in


A. “Un ruolo importante lo hanno avuto sicuramente lo sviluppo delle applicazioni in campo informatico quali il Grant Dizionari Bilengâl Talian Furlan (GDBtf), disponibile anche come applicazione per telefoni cellulari, il Coretôr Ortografic, la Tastiere Furlane Semplice, e il traduttore informatico “Jude”.” Altre iniziative del genere sono pure proposte, come lo sviluppo di un dizionario “unilengal.”

B. “Sembra ragionevole investire anzitutto nelle aree territoriali dove è maggiore la concentrazione di parlanti e dove il friulano è usato più frequentemente, e questo al fine di puntellare il suo uso e la sua trasmissione, lasciando però ai parlanti, a seconda dei luoghi e dei contesti, il compito di elaborare la propria sintesi fra tradizione e modernità.”(P.9)

C. “Va subito specificato che un piano di politica linguistica non è, e quindi non deve essere visto, come un arbitrario tentativo delle autorità di imporre dall’alto usi linguistici alla popolazione. Esso è molto più semplicemente uno strumento di azione collettiva che permette a una comunità politica, tramite le sue istituzioni, di dare sostanza alle norme in materia di tutela e promozione di una lingua minoritaria che sono già state adottate in passato in modo trasparente e democratico. I parlanti restano sempre e comunque i padroni della lingua e gli arbitri del suo utilizzo.” (P.6)

D. “Affinché la lingua friulana possa entrare in ogni forma di comunicazione, è necessario che si stabilizzi una forma standard accanto alle sue varietà, che vengono lasciate alla spontaneità individuale. Solo una lingua uniforme può entrare là dove ha origine la comunicazione eterodiretta (radiotelevisione, stampa, scuola) e solo se questa viene stabilizzata in strumenti specifici di riferimento e di consultazione (dizionari, correttori ortografici, grammatiche normative) per ogni produzione linguistica destinata alla diffusione.

I dizionari sono i depositi stabilizzati e stabilizzanti della lingua...(P.86)

5. Ruolo della Arlef:

A. Promuovere “la conoscenza e l’uso della grafia ufficiale della lingua friulana”;

B. Promuovere le “attività, svolte da soggetti pubblici o da soggetti privati particolarmente qualificati, finalizzate a promuovere la lingua friulana nei settori dell'editoria, dello spettacolo e della ricerca scientifica.”

C. “Al fine di garantire una coerente implementazione del corpus della lingua friulana, compete in via esclusiva all’ARLeF ogni decisione in merito alla standardizzazione e normalizzazione della lingua friulana, ai neologismi, alla grammatica, alla pronuncia, all’ortografia, al lessico e ad ogni altra questione linguistica.”

D. “L’Agenzia è pertanto il vero e proprio braccio operativo della Regione nelle attività di promozione del friulano.

6. Norme fondamentali che tutelano le minoranze linguistiche in Italia:

Art. 1. (della Costituzione) (Legge 482/1999)

1. La lingua ufficiale della Repubblica é l'italiano.

Art 2. La Repubblica, che valorizza il patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana, promuove altresí la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge.

I paragrafi 1-6 presentano in sintesi la sostanza del Piano Generale di Politica Linguistica per la lingua friulana. L'obiettivo centrale del Piano—di “rendere il friulano una lingua parlata e scritta in ogni situazione comunicazionale della vita pubblica e privata”—è senz‘altro lodevole; e le lodi sarebbero ancor più meritate se riuscisse, grazie ai provvedimenti da esso proposti, a preservare le varianti e ad arrestare o almeno a frenare il declino del numero dei parlanti. Sull'esito e successo del Piano però, e


purtroppo, è lecito dubitare, e per varie ragioni. Gli ostacoli più significativi, comunque, sono due.

In primo luogo è la natura stessa della lingua friulana. Il Piano riconosce che il friulano è composto da una varietà di dialetti (friulano centrale, friulano occidentale, ecc.). Inoltre, la lingua friulana non è nessuna di queste varianti in se stessa ma è invece l'insieme di ognuna di esse. In secondo luogo è lo scopo stesso di voler tutelare la lingua friulana: per quale motivo vogliamo che il maggior numero possibile di friulani sia capace di esprimersi bene in friulano, nel parlare e nello scrivere?

Ostacolo primo. Il friulano è composto da diverse varianti, ma per il Piano è necessario che “si stabilizzi una forma standard accanto alle sue varietà, che vengono lasciate alla spontaneità individuale.” La promozione di una forma standard, però, non è attuabile senza far danno alle varianti. È da notare che per alcuni non è vero che la forma standard sia una delle varianti: per essi la forma standard è una lingua che tutte le varianti hanno in comune. Corrisponde questa asserzione alla realtà delle cose? Non sembra. Infatti, se ciò fosse vero, non si verificherebbero curiosità e controsensi come questi:

-Applicazioni come il Grant Dizionari Bilengâl Talian Furlan servono gli interessi—quasi esclusivamente—del friulano centrale. Per me—tanto per dare un esempio—che uso il friulano occidentale, questo dizionario (per ben fatto che sia) mi è di utilità molto limitata. La risposta che ottengo spesso quando cerco l'aiuto del dizionario è un semplice (e onestissimo) “parola non trovata,” con l'aggiunta, non priva di ironia, di “cirivistu, ecc.”, espressione di un friulano prettamente centrale che ha ben poco in comune con la variante occidentale. Esempi di parole che provocano la risposta “parola non trovata“: ic, cìcara, cica, socia, vu, ecc. E se in un attacco di nostalgia cerco la parola friulana per chierichetto, il Grant Dizionari mi offre—con quello che giurerei è un sorriso sardonico—“zagut”, che significa proprio chierichetto—ma non nel friulano occidentale (nel quale zagut diventa “mùcul” o “mucul”), bensì nel friulano di là da l'aghe.

Il Coretôr Ortografic dovrebbe pure esso—secondo quanto leggiamo nel Piano—essere di grande aiuto non solo per coloro che scrivono nella forma standard della lingua, ma pure per coloro che scelgono di scrivere correttamente in qualsivoglia variante.

Ho voluto mettere alla prova due brevi componimenti, il primo un sonetto di Ermes di Colloredo e l'altro una poesia di Pier Paolo Pasolini. Il risultato? Non troppo incoraggiante, come vediamo dalle due immagini. È da temere che i poveri Pasolini e Colloredo non sarebbero rimasti del tutto entusiasti dai suggerimenti (in rosso) offerti dal Coretôr.

  

Si potrebbe obiettare, notando che i componimenti scelti sono poesie, e che non è giusto evalutare poesie facendo uso di un correttore ortografico. Osservazione giustissima. Ma qual'è allora la funzione di questo Coretôr se non lo si può applicare negli scritti di due dei maggiori autori della letteratura friulana? È un quesito, questo, che ci porta dritti al secondo ostacolo.

Ostacolo secondo. A che scopo la tutela del friulano? Ci è detto che lo scopo è di stabilizzare una forma standard affinchè la lingua friulana possa entrare in ogni forma di comunicazione (4D, sopra). Ciò significa che il friulano deve renderci capaci di comunicare più o meno allo stesso livello dell'italiano, e con la stessa efficacia in ogni ramo della conoscenza. È questo veramente lo scopo? Se lo è, e se è raggiungibile solo con la creazione di una forma standard del friulano, non corriamo il rischio di reprimere aspetti della lingua che non si adattano volentieri a cambiamenti imposti dall'esterno? È un bel dire che accanto alla forma standard, lascieremo le varianti alla loro “spontaneità individuale.” Non significa, questo, che le varianti verranno, in effetti, relegate all'oblivio?

Non sono i segni di questo abbandono già evidenti in questo Piano di politica linguistica? Cos'altro, infatti, sono il Grant Dizionari, con le limitazioni già mostrate, e il Coretôr Ortografic, che può forse essere di autentica assistenza ai parlanti del dialetto friulano centrale, ma, come dimostrato, del tutto inutile per le varianti?

Ma c‘è dell'altro. Il dominio del dialetto centrale del friulano è visibile pure nel campo della segnaletica, con l'insistenza che i nomi dei comuni vengano esposti nel friulano standard. Stessa cosa nei social network, in particolare nelle pagine Facebook della Arlef, dove ogni post e ogni annuncio sembra essere di questo stampo:

E voaltris lis comedaiso o lis lassaiso rotis? 😜 Cuâl isal il significât di chest mût di dî?

Belli e divertenti questi annunci o quesiti, e soprattutto leali alla forma standard del friulano, ossia alla variante di là da l'aghe.

Ci è dato da intendere che “un piano di politica linguistica non è, e quindi non deve essere visto come un arbitrario tentativo delle autorità di imporre dall’alto usi linguistici alla popolazione” (4C, sopra). Si vorrebbe credere alla veracità di questa asserzione. Gli esempi appena offerti, purtroppo, suggeriscono ben altro. Un ultimo esempio: fra le sue diverse funzioni, la Arlef ha pure il compito di “promuovere le “attività, svolte da soggetti pubblici o da soggetti privati particolarmente qualificati, finalizzate a promuovere la lingua friulana nei settori dell'editoria, dello spettacolo e della ricerca scientifica” (5B, sopra). Anni or sono la casa editrice Del Bianco, friulana, si era offerta di stampare e pubblicare la mia traduzione dell'Orlando Furioso. A quei tempi ci tenevo molto a questa offerta, ma i costi essendo stati per me un po' troppo esigenti, mi rivolsi alla Arlef per assistenza, la quale, lo ammetto, si mostrò disponibile, ma solo a patto che io riscrivessi il mio lavoro (ognuna delle quasi cinquemila ottave del Furioso) nella grafia del friulano standard. Se, poi, ci risovveniamo dell'assistenza finanziaria che la Arlef riceve in via diretta o indiretta da Roma per la tutela e promozione della lingua friulana—della quale somma, se non sbaglio, le varianti, ricche nella loro “spontaneità individuale,” ricevono poco o nulla, ci accorgiamo che alla lingua friulana, nel suo contesto storico-culturale, rimane ben poco da sperare. E quel poco lo si può forse trovare in una osservazione del Piano riportata più sopra: “Sembra ragionevole investire anzitutto nelle aree territoriali dove è maggiore la concentrazione di parlanti e dove il friulano è usato più frequentemente, e questo al fine di puntellare il suo uso e la sua trasmissione, lasciando però ai parlanti, a seconda dei luoghi e dei contesti, il compito di elaborare la propria sintesi fra tradizione e modernità.” (4B) Proprio questo, dunque, è il punto chiave sul quale ci resta da sperare: di lasciare ai parlanti il compito di “elaborare la propria sintesi fra tradizione e modernità.”


Come elaborare la sintesi fra tradizione e moderità

Pasolini, in uno dei suoi scritti, ci offre una possibile soluzione:

“Quando parlate, chiacchierate, gridate tra di voi, adoperate quel dialetto che avete imparato

da vostra madre, da vostro padre e dai vostri vecchi. E sono secoli che i bambini di questi posti succhiano dal seno delle loro madri quel dialetto, e quando diventano uomini, glielo insegnano anche loro ai propri figlioletti. [...] il dialetto è la più umile e comune maniera di esprimersi,

è solo parlato, a nessuno viene mai in mente di scriverlo. [...] Se a qualcuno viene quella idea,

ed è buono a realizzarla, e altri che parlano quello stesso dialetto, lo seguono e lo imitano, e

così, un po’ alla volta, si ammucchia una buona quantità di materiale scritto, allora quel di-

aletto diventa “lingua”. La lingua sarebbe così un dialetto scritto e adoperato per esprimere i sentimenti più alti e segreti del cuore. [...] Quando un dialetto diventa lingua, ogni scrittore

adopera quella lingua conforme le sue idee, il suo carattere, i suoi desideri. Insomma ogni scrit- tore scrive e compone in maniera diversa e ognuno ha il suo “stile”. Quello stile è qualcosa di interiore, nascosto, privato, e, soprattutto, individuale. Uno stile non è né italiano né tedesco

né friulano, è di quel poeta e basta.” (P. P. Pasolini, Dialet, lenga e stil, in P. P. Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte)

A primo impulso si è forse tentati di deridere il Pasolini per questa sua teoria dell'evoluzione di un linguaggio, di come, cioè, un dialetto diventa lingua. E difatti non esiste contrasto più netto fra questa teoria (di progressione naturale fra diletto e lingua) e la metodologia promossa e applicata dal Piano Generale di Politica Linguistica e quindi dalla Arlef, il cui obiettivo è puntato sulla creazione e sviluppo di metodi di scrittura e di standardizzazione anziché sull'appoggio alla creatività individuale dei parlanti.

Storicamente, però, è la teoria del Pasolini—o qualsiasi altro concetto di come nasce e si sviluppa una lingua in modo naturale—che prevale. In questo riguardo dovrebbe bastare uno sguardo all' evoluzione della lingua italiana, che nasce dalla frammentazione e volgarizzazione della lingua latina e, in seguito si evolve grazie all'intervento di personalità come San Francesco e poi dei grandi genii italiani, Dante, Petrarca, Boccaccio, e pIù tardi dell' Ariosto, del Tasso, e poi ancora dei loro discepoli che coi loro esempi, e non certo grazie ad agenzie dedicate alla promozione della lingua, cimentarono la lingua italiana. Mentre in altre parti della nostra penisola la lingua volgare lussurreggiava, nel nostro friuli il volgare rimaneva per secoli quell'insieme di parlate che conosciamo. Di Dante e Petrarca non ne spuntarono mai in terra friulana ad elevare coi loro lucenti esempi le nostre ruvide parlate. Ci chiediamo: ma perché questo sbilancio? perchè questa straordinaria assenza? Si potrebbero offrire molte ipotesi, tutte, però, avviluppate in incertezze. Sappiamo che molti artisti venivano sovvenzionati dalla Chiesa nell'età medievale e rinascimentale, e che poeti come l'Ariosto avevano l'appoggio e la protezione di famiglie ricche come quella degli Este di Ferrara. Forse queste sovvenzioni non esistevano nel Friuli medievale e rinascimentale, specie nel campo della poesia. Può darsi. La mancanza di scrittori all'altezza dei grandi ferraresi o toscani, tuttavia, rimane un fatto storico. Ed è in questa mancanza che si può trovare la vera ragione dell'intorpidimento del volgare friulano. Se questa, però, era la realtà del nostro friuli medievale, si può con buona ragione affermare che la situazione non è più la stessa. Nel tardo rinascimento— risulta—il Friuli ha avuto un poeta di cui si può vantare e grazie al quale una delle varianti del friulano ha dimostrato di possedere autentiche capacità poetiche. Parlo, ovviamente di Ermes di Colloredo. Quello che conta ancor di più, però, è stato l'avvento di Pier Paolo Pasolini che con il suo genio poetico ha dimostrato che la capacità letteraria della lingua friulana è da trovarsi in più di una delle sue varianti. E— notiamo— questa capacità è stata dimostrata in ambedue i casi (quello del Colloredo e quello del Pasolini) senza nessun appoggio o sovvenzione.

Il lettore potrebbe obbiettare: ma se c'è verità nella teoria del Pasolini sulla genesi e sviluppo di una lingua, perchè mai una lingua friulana scritta non ha preso piede e sostanza attorno agli esempi dati dal


Colloredo e dal Pasolini stesso? Per quanto riguarda il Colloredo a questo quesito si potrebbe rispondere semplicemente coll'osservare che ai suoi tempi la stragrande maggioranza degli italiani, inclusi i friulani, era analfabeta e quindi incapace di emularlo nei suoi scritti. E ai tempi del Pasolini il nucleo letterario che si stava formando ebbe, all'inizio degli anni Cinquanta, lo strappo violento che conosciamo.

Un'osservazione sulle sovvenzioni:

La Repubblica italiana, come abbiamo già visto (6, sopra), tutela e valorizza non solo la lingua friulana in se stessa, ma “promuove altresí la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge,” inclusa la lingua e cultura friulana. La costituzione della lingua friulana nella varietà dei suoi dialetti fa parte della storia del Friuli ed è perciò alla radice della cultura friulana. Sembra irrefutabile, quindi, che se vogliamo ritenere e valorizzare il “patrimonio linguistico e culturale” del Friuli dobbiamo fare il possibile per riconoscere il valore non di una sola delle varianti della lingua ma di ognuna delle varianti. Questo, al momento, non viene fatto, o viene fatto solo in maniera così tangenziale da essere praticamente insignificante, come attesta l’obiettivo fondamentale del Piano Generale di Politica Linguistica per la lingua friulana, (cioè, di “rendere il friulano una lingua parlata e scritta in ogni situazione comunicazionale della vita pubblica e privata”) in cui non si fa nessun riferimento a cultura. Non credo di essere in errore nel pensare che gli stanziamenti allocati dalla Repubblica per finanziare le attività descritte nel Piano Generale verrebbere realizzati anche nel caso che gli enti provinciali a carico della tutela della lingua avessero come obiettivo non solo la standardizzazione della lingua ma pure la valorizzazione dei suoi aspetti storico-culturali, i.e., delle varianti.

Rivediamo, in breve, la situazione di oggi.

L'obiettivo principale degli organi di tutela (la Arlef in primis) è semplicemente quello di “rendere il friulano una lingua parlata e scritta in ogni situazione comunicazionale della vita pubblica e privata.” Per lodevole che sembri, questo obiettivo ha come necessaria conseguenza la scelta di una delle varianti della lingua e l'abbandono, o almeno la trascuratezza di ogni altra variante. Anche la lettura più superficiale del Piano Generale di Politica Linguistica rivela chiaramente che questa è la realtà delle cose: milioni di euro vengono stanziati per la standardizzazione della lingua friulana—nel campo della segnaletica, della scuola, della pubblicità, ecc. Quale percentuale di questi milioni vengono allocati alla tutela delle altre varianti è facile immaginarlo. Per critici che si voglia essere, tocca, purtroppo, accettare la necessità di questo stato di cose. Non c'è via di scampo: senza il sacrificio delle varianti non si può arrivare a una standardizzazione. Ma la standardizzazione non è un male in se stessa: è, infatti, qualcosa da desiderare. Quello che è veramente un male è la maniera, se non addirittura violenta, almeno prepotente di realizzare questo obiettivo. Se questi termini sembrano esagerati, si vedano i commenti stessi del Piano (3A-D, sopra), secondo i quali è dimostrato che l'imposizione della versione standard è vista come un oltraggio ai valori culturali della lingua, come lingua di casa, e degli affetti. Il male c'è, insomma; ed è proprio lì, in questo oltraggio.

Ma potrebbero le cose essere differenti?

La risposta ce l'à data il Pasolini, come abbiamo visto: “il dialetto è la più umile e comune maniera di esprimersi...se a qualcuno viene quella idea (di scriverlo) ed è buono a realizzarla, e altri che parlano quello stesso dialetto, lo seguono e lo imitano, e così, un po’ alla volta, si ammucchia una buona quantità di materiale scritto, allora quel dialetto diventa “lingua”. La lingua sarebbe così un dialetto scritto e adoperato per esprimere i sentimenti più alti e segreti del cuore....”

È questo il metodo che, come nel dipinto di Michelangelo in cui Dio allunga la mano verso la mano di Adamo, ci ha donato la lingua italiana; ed è lo stesso metodo che, grazie alle opere di scrittori come il Cervantes, Chaucer, Shakespeare, Goethe, e perfino Luther, hanno raffinato e arricchito lo spagnolo,


l'inglese e il tedesco.

La situazione è quella che è; e a noi che osserviamo dai lati non ci resta che di sperare che il friulano

sopravviva come lingua e come cultura.

Ci rimane un rimpianto: che non siano (stati) applicati metodi più naturali—come già accennato— per mantenere in vita la nostra lingua e la nostra cultura.