Saturday, December 31, 2022

Benedetto XVI e Nietsche

 È morto il Papa.

Brano del mio “Leggevamo un giorno per diletto”:


(…La piccola TV all'angolo della cucina trasmetteva un commentario su un'enciclica del nuovo Papa: qualcosa sulla reciprocità dell'amore umano e divino. Paul si era messo ad ascoltare con interesse, ma la trasmissione era alla fine e il commentatore si era spostato per l'ennesima volta sui danni dell'alluvione nel sud. Paul decise di dare un'occhiata all'Enciclica del Papa. Potrebbe solo aiutarlo con il suo saggio. Disse buona notte a sua madre e tornò alla sua stanza e al suo laptop.


Dall' enciclica “Deus est caritas” di Benedetto XVI, Paul aveva subito scoperto l'affinità delle parole del Papa con l' intreccio dell' amore sessuale e dell'amore che infondeva ogni aspetto della poesia di Donne e, Paul doveva ammettere, delle sue stesse relazioni . Il rossore sulle guance di Anne; il sorriso di Rosette: entrambi gli apparvero all’improvviso nella mente come conferma. Scosse la testa; si ritirarono, anche se a malavoglia. Continuò con la sua lettura.


“I Greci—leggeva nell'enciclica—consideravano l'eros principalmente come una sorta di ebbrezza, la sopraffazione della ragione da parte di una "follia divina" che strappa l'uomo dalla sua esistenza finita e lo rende capace, proprio mentre viene sopraffatto dalla potenza divina, di provare una gioia suprema.”


Paul pensò subito a Santa Teresa. La sua estasi deve essere stata sicuramente la follia divina alla quale il Papa accenna. Ma mentre Paul continuava a leggere non si sentiva più sicuro che questo fosse il caso. "Un eros inebriato e indisciplinato, quindi, non è un'ascesa verso il Divino, ma una caduta, un degrado dell'uomo." La giovane Teresa, al contrario, doveva aver davvero sentito fino in fondo questa ebbrezza, che si doveva trasmutare lentamente nell'amor suavisimo de nuestro Dios. Quindi la sua non era più una discesa nell'eros greco, ma l'eros “disciplinato e purificato” di cui, proseguendo, parla il Papa: “L'eros ha bisogno di essere disciplinato e purificato se vuole fornire non solo un piacere fugace, ma l'apice della nostra esistenza, la beatitudine a cui anela tutto il nostro essere.” E che, pensò Paul, Teresa chiaramente desiderava. Lo stesso valeva pure per Donne. 


Quest'ultimo pure aspirava a quella specie di purificazione fin dall'inizio, anche se, come indicano le sue prime poesie, la purificazione dei suoi sensi e l'elevazione alla forma più rarefatta dell'amore non erano facili. Mentre guardava avanti alla poesia di cui avrebbe in seguito discusso, Paul sapeva che Donne avrebbe imparato col tempo a salire quella scala ripida. Lo stesso, pensò, l'eros di cui parla il papa Benedetto sarebbe ancora eros, o sarebbe qualcos'altro? Amore, sì, certo, ma eros?


Continuò a leggere:


“L'amore promette l'infinito, l'eternità, una realtà molto più grande e totalmente diversa dalla nostra esistenza quotidiana. Eppure abbiamo anche visto che il modo per raggiungere questo obiettivo non è il semplice sottomettersi all'istinto. Sono richieste purificazione e crescita in maturità; e pure queste passano per la via della rinuncia. Lungi dal respingere o “avvelenare” l'eros, lo curano e ne ripristinano la vera grandezza.”


Qui Benedetto respinge specificamente il punto di vista di Nietzsche secondo cui l'approccio cristiano alla vita aveva avvelenato l'eros. Ma l'eros viene davvero riportato al suo vero “grandeur” se viene purificato al punto da non bruciare più con le fiamme dionisiache? Quando Donne sceglierà di bere profondamente dal divino, avrà allora completamente spento Dioniso? Si può davvero aggrapparsi al fuoco dionisiaco e allo stesso tempo seguire la “via della rinuncia”?


Paul rifletté e si chiese se sarebbe stato davvero in grado di rispondere. Il riferimento di Benedetto a Nietzsche lo tormentava. Perché puntare il dito su questo filosofo tedesco? Paolo fece una rapida ricerca sul web di Nietzsche e lesse, in un commentario sul suo L'Anticristo, che una visione cristiana implicava "l'odio dei sensi, della gioia nei sensi, della gioia in generale...". Poco da stupirsi, pensò Paul. Era chiaro che le opinioni del papa erano antitetiche a quelle di Nietzsche. L'enciclica sottolineava la possibilità di un eros in evoluzione e quindi di una gioia di vivere in evoluzione e sempre più intensa. Quindi il Papa e Nietzsche erano opposti, erano bianchi e neri, ma non nel tipo mistico orientale di yin-yang, poiché ciò implicava che entrambi i lati dell'opposizione si completavano a vicenda. No, la visione nietzscheana doveva essere contrastata, combattuta e superata. Solo allora la gioia umana sarebbe libera dallo sconveniente irritante di un eros non purificato.

Così, mentre leggeva più a fondo il trattato di Benedetto sull'amore, Paul vide in esso una prefigurazione delle cose a venire, sia in termini di espressione che di manifestazione dell'amore nella poesia di Donne.


“L'eros e l'agape, l'amore ascendente e l'amore discendente, non possono mai essere completamente separati. Quanto più i due, nei loro diversi aspetti, trovano una giusta unità nell'unica realtà dell'amore, tanto più si realizza la vera natura dell'amore in generale. Anche se l'eros all'inizio è principalmente avido e ascendente, un fascino per la grande promessa di felicità, nell'avvicinarsi all'altro, è sempre meno preoccupato di se stesso, cerca sempre più la felicità dell'altro, si preoccupa sempre di più dell'amato, si dona e vuole “essere lì per” l'altro. Entra così in questo amore, perché altrimenti l'eros si impoverisce e perde anche la propria natura.


Mentre Paul esaminava ciò che aveva scritto poco prima di essere chiamato a cena, ricordò che la giustapposizione di erotico e divino pervadeva l'Elegia XIX di Donne. A livello espressivo, quindi, eros e agape si incontravano già anche a questo primo livello nello sviluppo artistico e umano di Donne. Non poteva, tuttavia, poter dire lo stesso sulla sintesi effettiva di queste due forme di amore, almeno non nel senso concepito da papa Benedetto…)

Thursday, December 1, 2022

Il Còu dal Mondiàl

 Il Còu dal Mondiàl

 

Disperasiòn e èstaši:

èco lì la vera partida

di chistu Mondiàl.

I zujadòus a sòn tàncjus,

di ogni colòu, e a vègnin 

da ogni cjantòn dal mont.

Dùcjus a scombàtin par vinsi—

a si afànin, a sufrìsin,

ma maj a no si rìndin—

se ben ch'a sàn 

che doma na scuadra

a la fin a zarà a vinsi

e a godisi un momènt di gloria

(momentùt, coma dimostràt aliej

da na Fransa campiona

batuda da na Tunišiuta).

Par ogni altra scuadra,

cun ogni partida zujada,

a si lontana la speransa

e a si visina la disperasiòn;

ma oh cuancju afàns

e cuancju patimìns

che un al è bon da sufrì

par otegni a la fin

chel nanosecònt

di èstaši!


Tuesday, November 15, 2022

Racism not biological?

 Sci-Am‘s  Nov. 1922 article (In Schools, Talk about Racism, etc.) is harshly critical of laws that limit discussions of racism in schools.


There may indeed be good reasons why such discussions could have good outcomes. Sadly, what the article refers to as discussion is not discussion at all, but at best a laying out of a set of supposed facts, and at worst indoctrination. Example: In the opening paragraph the article tells us that Hester (a Iowa teacher) might have discussed how European and American settlers brutally killed many Native Americans in the 18th and 19th centuries.“ Had Ms. Hester approached her class as the authors of this article approach their topic, little discussion would have taken place, since one hardly discusses how European settlers brutally killed Native Americans but rather discusses whether or not such brutal killings ever took place and why. To approach the topic as the authors approach it is indoctrination, not discussion.

Leaps of logic, however, are not limited to this example. They are to be found in this statement too, that “scientists agree that race is not biological. It is not inherent or innate. Instead race is the product of social and cultural ideas that are imposed on groups of people.” Do scientists really agree that there are no distinct races in our world?

(By the way, the only ones who really are not aware of racial distinctions are little kids, or at least kids who have not yet been taught there are such distinctions. You don‘t  believe this? Try visiting the daycare center nearest you.)

The authors themselves, incidentally, are far from believing that race is not biological, as proven by the caution they give us, that “it’s critical to keep in mind how (laws limiting discussion of race) they will impact children of color specifically.” Why, unless you are conscious of racial distinctions, the mention of “color”?

Leaps in logic, however, are hardly of any serious concern to authors who—for ideological reasons, not for grammatical ignorance—give us absurdities like this:  “If someone cuts you off on the highway, you are likely to assume they are a bad driver rather than assume, for instance, that they are a good driver who happens to be rushing to the hospital in an emergency.”

Scientific American is great when it focuses on scientific issues, like the one in the article just before this one (on the evolution of bipedalism). It becomes mush when it lets ideology smear its better senses.

Ermes Culos
Ashcroft BC

(Ps. Don‘t let teachers teach subjects like racism. Teachers are people. People have prejudices, and they tend to pass on their biases to the kids they teach.)

Thursday, October 27, 2022

Pgpl

 Piano generale di politica linguistica per la lingua friulana

Piano approvato dalla Arlef nel febbraio 2021

Analisi critica del Piano 1. Obiettivo centrale del Piano:

Obiettivo: di “rendere il friulano una lingua parlata e scritta in ogni situazione comunicazionale della vita pubblica e privata”, permettendo “ai cittadini di esercitare a pieno il proprio diritto di espressione in lingua friulana, senza la necessità di dover ricorrere ad un’altra lingua”. (p.8)

2. A.

B. C.

3.

Situazione odierna:

“In estrema sintesi, il modello prevede una contrazione di circa il 23%-24% della massa dei friulanofoni regolari e una diminuzione complessiva dei parlanti del friulano dell'11% entro il 2050. Le proiezioni indicano quindi che quasi un quarto dei locutori regolari sparirà entro il 2050. Si tratta di 100.000 parlanti regolari in meno in 36 anni. ...Tuttavia, le previsioni evidenziano due punti fondamentali. In primo luogo, senza un determinato e coerente intervento di politica linguistica il declino né si arresta né rallenta. In secondo luogo, la situazione non è però ancora compromessa e non è troppo tardi per influire efficacemente sulla vitalità della lingua a lungo termine. Una massa di parlanti regolari di circa 405.000 persone nel 2020 è un solido punto da cui partire per stabilizzare l’uso della lingua friulana nel futuro se si sarà in grado di intervenire con continuità e di investire adeguate risorse nella sua tutela e promozione.” (P.35)

“Si lamenta inoltre il fatto che la lingua friulana sia poco visibile a livello istituzionale, e dunque la difficoltà nel farla entrare nella quotidianità.”

“Non tutti i giovani coinvolti conoscono gli strumenti di scrittura, consultazione e correzione messi a disposizione dall’ARLeF per la lingua friulana.”

Come il friulano è visto dai parlanti:

A.

merito al valore culturale delle lingue,... Da un lato abbiamo un rifiuto netto delle opinioni che svalutano il friulano, la sua importanza e il suo uso in diversi contesti. Ma questo rifiuto tende a vacillare e a ridursi quando la lingua friulana è esposta al confronto diretto con gli ambienti istituzionali o pubblici, o quando si utilizza nonostante qualcuno non la comprenda, oppure qualora venga sentita come imposta.” (P.29) B. La famiglia è il primo contesto in assoluto nel quale si utilizza il friulano, seguita dagli amici d’infanzia

C. Il friulano rappresenta la lingua degli affetti,

D. Il friulano è quasi soltanto lingua parlata, e c’è timore nel cimentarsi con le regole scritte; è sempre fortissima la sovrapposizione tra lingua e grafia.

E. Il friulano prende vigore quando si è all’estero, e il fatto che dal di fuori si riconosca interesse verso questa lingua, ne aumenta certamente lo status. (P.31)

4. Come rimediare la situazione:

“Nella ricerca “si è evidenziata una dinamica che da un lato vede risultati molto favorevoli in


A. “Un ruolo importante lo hanno avuto sicuramente lo sviluppo delle applicazioni in campo informatico quali il Grant Dizionari Bilengâl Talian Furlan (GDBtf), disponibile anche come applicazione per telefoni cellulari, il Coretôr Ortografic, la Tastiere Furlane Semplice, e il traduttore informatico “Jude”.” Altre iniziative del genere sono pure proposte, come lo sviluppo di un dizionario “unilengal.”

B. “Sembra ragionevole investire anzitutto nelle aree territoriali dove è maggiore la concentrazione di parlanti e dove il friulano è usato più frequentemente, e questo al fine di puntellare il suo uso e la sua trasmissione, lasciando però ai parlanti, a seconda dei luoghi e dei contesti, il compito di elaborare la propria sintesi fra tradizione e modernità.”(P.9)

C. “Va subito specificato che un piano di politica linguistica non è, e quindi non deve essere visto, come un arbitrario tentativo delle autorità di imporre dall’alto usi linguistici alla popolazione. Esso è molto più semplicemente uno strumento di azione collettiva che permette a una comunità politica, tramite le sue istituzioni, di dare sostanza alle norme in materia di tutela e promozione di una lingua minoritaria che sono già state adottate in passato in modo trasparente e democratico. I parlanti restano sempre e comunque i padroni della lingua e gli arbitri del suo utilizzo.” (P.6)

D. “Affinché la lingua friulana possa entrare in ogni forma di comunicazione, è necessario che si stabilizzi una forma standard accanto alle sue varietà, che vengono lasciate alla spontaneità individuale. Solo una lingua uniforme può entrare là dove ha origine la comunicazione eterodiretta (radiotelevisione, stampa, scuola) e solo se questa viene stabilizzata in strumenti specifici di riferimento e di consultazione (dizionari, correttori ortografici, grammatiche normative) per ogni produzione linguistica destinata alla diffusione.

I dizionari sono i depositi stabilizzati e stabilizzanti della lingua...(P.86)

5. Ruolo della Arlef:

A. Promuovere “la conoscenza e l’uso della grafia ufficiale della lingua friulana”;

B. Promuovere le “attività, svolte da soggetti pubblici o da soggetti privati particolarmente qualificati, finalizzate a promuovere la lingua friulana nei settori dell'editoria, dello spettacolo e della ricerca scientifica.”

C. “Al fine di garantire una coerente implementazione del corpus della lingua friulana, compete in via esclusiva all’ARLeF ogni decisione in merito alla standardizzazione e normalizzazione della lingua friulana, ai neologismi, alla grammatica, alla pronuncia, all’ortografia, al lessico e ad ogni altra questione linguistica.”

D. “L’Agenzia è pertanto il vero e proprio braccio operativo della Regione nelle attività di promozione del friulano.

6. Norme fondamentali che tutelano le minoranze linguistiche in Italia:

Art. 1. (della Costituzione) (Legge 482/1999)

1. La lingua ufficiale della Repubblica é l'italiano.

Art 2. La Repubblica, che valorizza il patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana, promuove altresí la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge.

I paragrafi 1-6 presentano in sintesi la sostanza del Piano Generale di Politica Linguistica per la lingua friulana. L'obiettivo centrale del Piano—di “rendere il friulano una lingua parlata e scritta in ogni situazione comunicazionale della vita pubblica e privata”—è senz‘altro lodevole; e le lodi sarebbero ancor più meritate se riuscisse, grazie ai provvedimenti da esso proposti, a preservare le varianti e ad arrestare o almeno a frenare il declino del numero dei parlanti. Sull'esito e successo del Piano però, e


purtroppo, è lecito dubitare, e per varie ragioni. Gli ostacoli più significativi, comunque, sono due.

In primo luogo è la natura stessa della lingua friulana. Il Piano riconosce che il friulano è composto da una varietà di dialetti (friulano centrale, friulano occidentale, ecc.). Inoltre, la lingua friulana non è nessuna di queste varianti in se stessa ma è invece l'insieme di ognuna di esse. In secondo luogo è lo scopo stesso di voler tutelare la lingua friulana: per quale motivo vogliamo che il maggior numero possibile di friulani sia capace di esprimersi bene in friulano, nel parlare e nello scrivere?

Ostacolo primo. Il friulano è composto da diverse varianti, ma per il Piano è necessario che “si stabilizzi una forma standard accanto alle sue varietà, che vengono lasciate alla spontaneità individuale.” La promozione di una forma standard, però, non è attuabile senza far danno alle varianti. È da notare che per alcuni non è vero che la forma standard sia una delle varianti: per essi la forma standard è una lingua che tutte le varianti hanno in comune. Corrisponde questa asserzione alla realtà delle cose? Non sembra. Infatti, se ciò fosse vero, non si verificherebbero curiosità e controsensi come questi:

-Applicazioni come il Grant Dizionari Bilengâl Talian Furlan servono gli interessi—quasi esclusivamente—del friulano centrale. Per me—tanto per dare un esempio—che uso il friulano occidentale, questo dizionario (per ben fatto che sia) mi è di utilità molto limitata. La risposta che ottengo spesso quando cerco l'aiuto del dizionario è un semplice (e onestissimo) “parola non trovata,” con l'aggiunta, non priva di ironia, di “cirivistu, ecc.”, espressione di un friulano prettamente centrale che ha ben poco in comune con la variante occidentale. Esempi di parole che provocano la risposta “parola non trovata“: ic, cìcara, cica, socia, vu, ecc. E se in un attacco di nostalgia cerco la parola friulana per chierichetto, il Grant Dizionari mi offre—con quello che giurerei è un sorriso sardonico—“zagut”, che significa proprio chierichetto—ma non nel friulano occidentale (nel quale zagut diventa “mùcul” o “mucul”), bensì nel friulano di là da l'aghe.

Il Coretôr Ortografic dovrebbe pure esso—secondo quanto leggiamo nel Piano—essere di grande aiuto non solo per coloro che scrivono nella forma standard della lingua, ma pure per coloro che scelgono di scrivere correttamente in qualsivoglia variante.

Ho voluto mettere alla prova due brevi componimenti, il primo un sonetto di Ermes di Colloredo e l'altro una poesia di Pier Paolo Pasolini. Il risultato? Non troppo incoraggiante, come vediamo dalle due immagini. È da temere che i poveri Pasolini e Colloredo non sarebbero rimasti del tutto entusiasti dai suggerimenti (in rosso) offerti dal Coretôr.

  

Si potrebbe obiettare, notando che i componimenti scelti sono poesie, e che non è giusto evalutare poesie facendo uso di un correttore ortografico. Osservazione giustissima. Ma qual'è allora la funzione di questo Coretôr se non lo si può applicare negli scritti di due dei maggiori autori della letteratura friulana? È un quesito, questo, che ci porta dritti al secondo ostacolo.

Ostacolo secondo. A che scopo la tutela del friulano? Ci è detto che lo scopo è di stabilizzare una forma standard affinchè la lingua friulana possa entrare in ogni forma di comunicazione (4D, sopra). Ciò significa che il friulano deve renderci capaci di comunicare più o meno allo stesso livello dell'italiano, e con la stessa efficacia in ogni ramo della conoscenza. È questo veramente lo scopo? Se lo è, e se è raggiungibile solo con la creazione di una forma standard del friulano, non corriamo il rischio di reprimere aspetti della lingua che non si adattano volentieri a cambiamenti imposti dall'esterno? È un bel dire che accanto alla forma standard, lascieremo le varianti alla loro “spontaneità individuale.” Non significa, questo, che le varianti verranno, in effetti, relegate all'oblivio?

Non sono i segni di questo abbandono già evidenti in questo Piano di politica linguistica? Cos'altro, infatti, sono il Grant Dizionari, con le limitazioni già mostrate, e il Coretôr Ortografic, che può forse essere di autentica assistenza ai parlanti del dialetto friulano centrale, ma, come dimostrato, del tutto inutile per le varianti?

Ma c‘è dell'altro. Il dominio del dialetto centrale del friulano è visibile pure nel campo della segnaletica, con l'insistenza che i nomi dei comuni vengano esposti nel friulano standard. Stessa cosa nei social network, in particolare nelle pagine Facebook della Arlef, dove ogni post e ogni annuncio sembra essere di questo stampo:

E voaltris lis comedaiso o lis lassaiso rotis? 😜 Cuâl isal il significât di chest mût di dî?

Belli e divertenti questi annunci o quesiti, e soprattutto leali alla forma standard del friulano, ossia alla variante di là da l'aghe.

Ci è dato da intendere che “un piano di politica linguistica non è, e quindi non deve essere visto come un arbitrario tentativo delle autorità di imporre dall’alto usi linguistici alla popolazione” (4C, sopra). Si vorrebbe credere alla veracità di questa asserzione. Gli esempi appena offerti, purtroppo, suggeriscono ben altro. Un ultimo esempio: fra le sue diverse funzioni, la Arlef ha pure il compito di “promuovere le “attività, svolte da soggetti pubblici o da soggetti privati particolarmente qualificati, finalizzate a promuovere la lingua friulana nei settori dell'editoria, dello spettacolo e della ricerca scientifica” (5B, sopra). Anni or sono la casa editrice Del Bianco, friulana, si era offerta di stampare e pubblicare la mia traduzione dell'Orlando Furioso. A quei tempi ci tenevo molto a questa offerta, ma i costi essendo stati per me un po' troppo esigenti, mi rivolsi alla Arlef per assistenza, la quale, lo ammetto, si mostrò disponibile, ma solo a patto che io riscrivessi il mio lavoro (ognuna delle quasi cinquemila ottave del Furioso) nella grafia del friulano standard. Se, poi, ci risovveniamo dell'assistenza finanziaria che la Arlef riceve in via diretta o indiretta da Roma per la tutela e promozione della lingua friulana—della quale somma, se non sbaglio, le varianti, ricche nella loro “spontaneità individuale,” ricevono poco o nulla, ci accorgiamo che alla lingua friulana, nel suo contesto storico-culturale, rimane ben poco da sperare. E quel poco lo si può forse trovare in una osservazione del Piano riportata più sopra: “Sembra ragionevole investire anzitutto nelle aree territoriali dove è maggiore la concentrazione di parlanti e dove il friulano è usato più frequentemente, e questo al fine di puntellare il suo uso e la sua trasmissione, lasciando però ai parlanti, a seconda dei luoghi e dei contesti, il compito di elaborare la propria sintesi fra tradizione e modernità.” (4B) Proprio questo, dunque, è il punto chiave sul quale ci resta da sperare: di lasciare ai parlanti il compito di “elaborare la propria sintesi fra tradizione e modernità.”


Come elaborare la sintesi fra tradizione e moderità

Pasolini, in uno dei suoi scritti, ci offre una possibile soluzione:

“Quando parlate, chiacchierate, gridate tra di voi, adoperate quel dialetto che avete imparato

da vostra madre, da vostro padre e dai vostri vecchi. E sono secoli che i bambini di questi posti succhiano dal seno delle loro madri quel dialetto, e quando diventano uomini, glielo insegnano anche loro ai propri figlioletti. [...] il dialetto è la più umile e comune maniera di esprimersi,

è solo parlato, a nessuno viene mai in mente di scriverlo. [...] Se a qualcuno viene quella idea,

ed è buono a realizzarla, e altri che parlano quello stesso dialetto, lo seguono e lo imitano, e

così, un po’ alla volta, si ammucchia una buona quantità di materiale scritto, allora quel di-

aletto diventa “lingua”. La lingua sarebbe così un dialetto scritto e adoperato per esprimere i sentimenti più alti e segreti del cuore. [...] Quando un dialetto diventa lingua, ogni scrittore

adopera quella lingua conforme le sue idee, il suo carattere, i suoi desideri. Insomma ogni scrit- tore scrive e compone in maniera diversa e ognuno ha il suo “stile”. Quello stile è qualcosa di interiore, nascosto, privato, e, soprattutto, individuale. Uno stile non è né italiano né tedesco

né friulano, è di quel poeta e basta.” (P. P. Pasolini, Dialet, lenga e stil, in P. P. Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte)

A primo impulso si è forse tentati di deridere il Pasolini per questa sua teoria dell'evoluzione di un linguaggio, di come, cioè, un dialetto diventa lingua. E difatti non esiste contrasto più netto fra questa teoria (di progressione naturale fra diletto e lingua) e la metodologia promossa e applicata dal Piano Generale di Politica Linguistica e quindi dalla Arlef, il cui obiettivo è puntato sulla creazione e sviluppo di metodi di scrittura e di standardizzazione anziché sull'appoggio alla creatività individuale dei parlanti.

Storicamente, però, è la teoria del Pasolini—o qualsiasi altro concetto di come nasce e si sviluppa una lingua in modo naturale—che prevale. In questo riguardo dovrebbe bastare uno sguardo all' evoluzione della lingua italiana, che nasce dalla frammentazione e volgarizzazione della lingua latina e, in seguito si evolve grazie all'intervento di personalità come San Francesco e poi dei grandi genii italiani, Dante, Petrarca, Boccaccio, e pIù tardi dell' Ariosto, del Tasso, e poi ancora dei loro discepoli che coi loro esempi, e non certo grazie ad agenzie dedicate alla promozione della lingua, cimentarono la lingua italiana. Mentre in altre parti della nostra penisola la lingua volgare lussurreggiava, nel nostro friuli il volgare rimaneva per secoli quell'insieme di parlate che conosciamo. Di Dante e Petrarca non ne spuntarono mai in terra friulana ad elevare coi loro lucenti esempi le nostre ruvide parlate. Ci chiediamo: ma perché questo sbilancio? perchè questa straordinaria assenza? Si potrebbero offrire molte ipotesi, tutte, però, avviluppate in incertezze. Sappiamo che molti artisti venivano sovvenzionati dalla Chiesa nell'età medievale e rinascimentale, e che poeti come l'Ariosto avevano l'appoggio e la protezione di famiglie ricche come quella degli Este di Ferrara. Forse queste sovvenzioni non esistevano nel Friuli medievale e rinascimentale, specie nel campo della poesia. Può darsi. La mancanza di scrittori all'altezza dei grandi ferraresi o toscani, tuttavia, rimane un fatto storico. Ed è in questa mancanza che si può trovare la vera ragione dell'intorpidimento del volgare friulano. Se questa, però, era la realtà del nostro friuli medievale, si può con buona ragione affermare che la situazione non è più la stessa. Nel tardo rinascimento— risulta—il Friuli ha avuto un poeta di cui si può vantare e grazie al quale una delle varianti del friulano ha dimostrato di possedere autentiche capacità poetiche. Parlo, ovviamente di Ermes di Colloredo. Quello che conta ancor di più, però, è stato l'avvento di Pier Paolo Pasolini che con il suo genio poetico ha dimostrato che la capacità letteraria della lingua friulana è da trovarsi in più di una delle sue varianti. E— notiamo— questa capacità è stata dimostrata in ambedue i casi (quello del Colloredo e quello del Pasolini) senza nessun appoggio o sovvenzione.

Il lettore potrebbe obbiettare: ma se c'è verità nella teoria del Pasolini sulla genesi e sviluppo di una lingua, perchè mai una lingua friulana scritta non ha preso piede e sostanza attorno agli esempi dati dal


Colloredo e dal Pasolini stesso? Per quanto riguarda il Colloredo a questo quesito si potrebbe rispondere semplicemente coll'osservare che ai suoi tempi la stragrande maggioranza degli italiani, inclusi i friulani, era analfabeta e quindi incapace di emularlo nei suoi scritti. E ai tempi del Pasolini il nucleo letterario che si stava formando ebbe, all'inizio degli anni Cinquanta, lo strappo violento che conosciamo.

Un'osservazione sulle sovvenzioni:

La Repubblica italiana, come abbiamo già visto (6, sopra), tutela e valorizza non solo la lingua friulana in se stessa, ma “promuove altresí la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge,” inclusa la lingua e cultura friulana. La costituzione della lingua friulana nella varietà dei suoi dialetti fa parte della storia del Friuli ed è perciò alla radice della cultura friulana. Sembra irrefutabile, quindi, che se vogliamo ritenere e valorizzare il “patrimonio linguistico e culturale” del Friuli dobbiamo fare il possibile per riconoscere il valore non di una sola delle varianti della lingua ma di ognuna delle varianti. Questo, al momento, non viene fatto, o viene fatto solo in maniera così tangenziale da essere praticamente insignificante, come attesta l’obiettivo fondamentale del Piano Generale di Politica Linguistica per la lingua friulana, (cioè, di “rendere il friulano una lingua parlata e scritta in ogni situazione comunicazionale della vita pubblica e privata”) in cui non si fa nessun riferimento a cultura. Non credo di essere in errore nel pensare che gli stanziamenti allocati dalla Repubblica per finanziare le attività descritte nel Piano Generale verrebbere realizzati anche nel caso che gli enti provinciali a carico della tutela della lingua avessero come obiettivo non solo la standardizzazione della lingua ma pure la valorizzazione dei suoi aspetti storico-culturali, i.e., delle varianti.

Rivediamo, in breve, la situazione di oggi.

L'obiettivo principale degli organi di tutela (la Arlef in primis) è semplicemente quello di “rendere il friulano una lingua parlata e scritta in ogni situazione comunicazionale della vita pubblica e privata.” Per lodevole che sembri, questo obiettivo ha come necessaria conseguenza la scelta di una delle varianti della lingua e l'abbandono, o almeno la trascuratezza di ogni altra variante. Anche la lettura più superficiale del Piano Generale di Politica Linguistica rivela chiaramente che questa è la realtà delle cose: milioni di euro vengono stanziati per la standardizzazione della lingua friulana—nel campo della segnaletica, della scuola, della pubblicità, ecc. Quale percentuale di questi milioni vengono allocati alla tutela delle altre varianti è facile immaginarlo. Per critici che si voglia essere, tocca, purtroppo, accettare la necessità di questo stato di cose. Non c'è via di scampo: senza il sacrificio delle varianti non si può arrivare a una standardizzazione. Ma la standardizzazione non è un male in se stessa: è, infatti, qualcosa da desiderare. Quello che è veramente un male è la maniera, se non addirittura violenta, almeno prepotente di realizzare questo obiettivo. Se questi termini sembrano esagerati, si vedano i commenti stessi del Piano (3A-D, sopra), secondo i quali è dimostrato che l'imposizione della versione standard è vista come un oltraggio ai valori culturali della lingua, come lingua di casa, e degli affetti. Il male c'è, insomma; ed è proprio lì, in questo oltraggio.

Ma potrebbero le cose essere differenti?

La risposta ce l'à data il Pasolini, come abbiamo visto: “il dialetto è la più umile e comune maniera di esprimersi...se a qualcuno viene quella idea (di scriverlo) ed è buono a realizzarla, e altri che parlano quello stesso dialetto, lo seguono e lo imitano, e così, un po’ alla volta, si ammucchia una buona quantità di materiale scritto, allora quel dialetto diventa “lingua”. La lingua sarebbe così un dialetto scritto e adoperato per esprimere i sentimenti più alti e segreti del cuore....”

È questo il metodo che, come nel dipinto di Michelangelo in cui Dio allunga la mano verso la mano di Adamo, ci ha donato la lingua italiana; ed è lo stesso metodo che, grazie alle opere di scrittori come il Cervantes, Chaucer, Shakespeare, Goethe, e perfino Luther, hanno raffinato e arricchito lo spagnolo,


l'inglese e il tedesco.

La situazione è quella che è; e a noi che osserviamo dai lati non ci resta che di sperare che il friulano

sopravviva come lingua e come cultura.

Ci rimane un rimpianto: che non siano (stati) applicati metodi più naturali—come già accennato— per mantenere in vita la nostra lingua e la nostra cultura.

Fetterman disabled? So?

 To WP

Dear Editor


Yesterday's  debate  between candidates Fetterman and Oz  “revealed the ableism inherent in the electoral process and the added scrutiny that candidates with disabilities receive compared with their non-disabled counterparts,” tells us Amanda Morris (WP, Oct. 27/22.) Ms. Morris may well be right; but is this sort of “ableism” necessarily wrong? Shouldn't voters be entitled to expect that their representatives—particularly at the highest levels of goverment—do not have the sort of disabilities that keep them from thinking clearly? If Fetterman has such disabilities, shouldn’t he yield to someone whose thought processes are more likely to enable him to perform well at his assigned job? Ms. Morris—and WP—comes dangerously close to suggesting that, no, that someone cognitively impaired should be given the same chances as someone who is mentally fit. sadly, this is an argument the logic of which would compel us to give a blind person the same right to drive as someone with 20-20 vision, or compel the manager of a World Cup soccer team to have on his roster an equal number of weak-kneed or weak-hipped players as of perfectly fit players.

No, if Mr. Fetterman is cognitively impaired he simply should not be running for one of the highest positions in the country.

Ermes Culos

Ashcroft BC

12504539519

Wednesday, October 19, 2022

Abortion vs pregnancy

 Dear editors


It evidently is your editorial opinion that “pregnancy itself is far more dangerous than abortion.” (Sci-Am, October 2022)

I realize you made this statement in the narrow sense of the risks that go along during the period of gestation leading up to childbirth, as opposed to the risks of going through an abortion procedure. There is a broader sense, though, in which this statement can be understood. In this broader sense pregnancy is unquestionably more dangerous than abortion. Abortion ends life; pregnancy leads to life, and life, by the mere fact of being life, is—yes—dangerous, it is full of risks. It would not otherwise be life at all. It is the very reason why abortions are carried out. Even so, is there anything more precious than life?

Ermes Culos,
Ashcroft, BC

Monday, October 17, 2022

Pgpl

 Piano generale di politica linguistica per la lingua friulana

Piano approvato dalla Arlef nel febbraio 2021

Analisi critica del Piano 1. Obiettivo centrale del Piano:

Obiettivo: di “rendere il friulano una lingua parlata e scritta in ogni situazione comunicazionale della vita pubblica e privata”, permettendo “ai cittadini di esercitare a pieno il proprio diritto di espressione in lingua friulana, senza la necessità di dover ricorrere ad un’altra lingua”. (p.8)

2. A.

B. C.

3.

Situazione odierna:

“In estrema sintesi, il modello prevede una contrazione di circa il 23%-24% della massa dei friulanofoni regolari e una diminuzione complessiva dei parlanti del friulano dell'11% entro il 2050. Le proiezioni indicano quindi che quasi un quarto dei locutori regolari sparirà entro il 2050. Si tratta di 100.000 parlanti regolari in meno in 36 anni. ...Tuttavia, le previsioni evidenziano due punti fondamentali. In primo luogo, senza un determinato e coerente intervento di politica linguistica il declino né si arresta né rallenta. In secondo luogo, la situazione non è però ancora compromessa e non è troppo tardi per influire efficacemente sulla vitalità della lingua a lungo termine. Una massa di parlanti regolari di circa 405.000 persone nel 2020 è un solido punto da cui partire per stabilizzare l’uso della lingua friulana nel futuro se si sarà in grado di intervenire con continuità e di investire adeguate risorse nella sua tutela e promozione.” (P.35)

“Si lamenta inoltre il fatto che la lingua friulana sia poco visibile a livello istituzionale, e dunque la difficoltà nel farla entrare nella quotidianità.”

“Non tutti i giovani coinvolti conoscono gli strumenti di scrittura, consultazione e correzione messi a disposizione dall’ARLeF per la lingua friulana.”

Come il friulano è visto dai parlanti:

A.

merito al valore culturale delle lingue,... Da un lato abbiamo un rifiuto netto delle opinioni che svalutano il friulano, la sua importanza e il suo uso in diversi contesti. Ma questo rifiuto tende a vacillare e a ridursi quando la lingua friulana è esposta al confronto diretto con gli ambienti istituzionali o pubblici, o quando si utilizza nonostante qualcuno non la comprenda, oppure qualora venga sentita come imposta.” (P.29) B. La famiglia è il primo contesto in assoluto nel quale si utilizza il friulano, seguita dagli amici d’infanzia

C. Il friulano rappresenta la lingua degli affetti,

D. Il friulano è quasi soltanto lingua parlata, e c’è timore nel cimentarsi con le regole scritte; è sempre fortissima la sovrapposizione tra lingua e grafia.

E. Il friulano prende vigore quando si è all’estero, e il fatto che dal di fuori si riconosca interesse verso questa lingua, ne aumenta certamente lo status. (P.31)

4. Come rimediare la situazione:

“Nella ricerca “si è evidenziata una dinamica che da un lato vede risultati molto favorevoli in


A. “Un ruolo importante lo hanno avuto sicuramente lo sviluppo delle applicazioni in campo informatico quali il Grant Dizionari Bilengâl Talian Furlan (GDBtf), disponibile anche come applicazione per telefoni cellulari, il Coretôr Ortografic, la Tastiere Furlane Semplice, e il traduttore informatico “Jude”.” Altre iniziative del genere sono pure proposte, come lo sviluppo di un dizionario “unilengal.”

B. “Sembra ragionevole investire anzitutto nelle aree territoriali dove è maggiore la concentrazione di parlanti e dove il friulano è usato più frequentemente, e questo al fine di puntellare il suo uso e la sua trasmissione, lasciando però ai parlanti, a seconda dei luoghi e dei contesti, il compito di elaborare la propria sintesi fra tradizione e modernità.”(P.9)

C. “Va subito specificato che un piano di politica linguistica non è, e quindi non deve essere visto, come un arbitrario tentativo delle autorità di imporre dall’alto usi linguistici alla popolazione. Esso è molto più semplicemente uno strumento di azione collettiva che permette a una comunità politica, tramite le sue istituzioni, di dare sostanza alle norme in materia di tutela e promozione di una lingua minoritaria che sono già state adottate in passato in modo trasparente e democratico. I parlanti restano sempre e comunque i padroni della lingua e gli arbitri del suo utilizzo.” (P.6)

D. “Affinché la lingua friulana possa entrare in ogni forma di comunicazione, è necessario che si stabilizzi una forma standard accanto alle sue varietà, che vengono lasciate alla spontaneità individuale. Solo una lingua uniforme può entrare là dove ha origine la comunicazione eterodiretta (radiotelevisione, stampa, scuola) e solo se questa viene stabilizzata in strumenti specifici di riferimento e di consultazione (dizionari, correttori ortografici, grammatiche normative) per ogni produzione linguistica destinata alla diffusione.

I dizionari sono i depositi stabilizzati e stabilizzanti della lingua...(P.86)

5. Ruolo della Arlef:

A. Promuovere “la conoscenza e l’uso della grafia ufficiale della lingua friulana”;

B. Promuovere le “attività, svolte da soggetti pubblici o da soggetti privati particolarmente qualificati, finalizzate a promuovere la lingua friulana nei settori dell'editoria, dello spettacolo e della ricerca scientifica.”

C. “Al fine di garantire una coerente implementazione del corpus della lingua friulana, compete in via esclusiva all’ARLeF ogni decisione in merito alla standardizzazione e normalizzazione della lingua friulana, ai neologismi, alla grammatica, alla pronuncia, all’ortografia, al lessico e ad ogni altra questione linguistica.”

D. “L’Agenzia è pertanto il vero e proprio braccio operativo della Regione nelle attività di promozione del friulano.

6. Norme fondamentali che tutelano le minoranze linguistiche in Italia:

Art. 1. (della Costituzione) (Legge 482/1999)

1. La lingua ufficiale della Repubblica é l'italiano.

Art 2. La Repubblica, che valorizza il patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana, promuove altresí la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge.

I paragrafi 1-6 presentano in sintesi la sostanza del Piano Generale di Politica Linguistica per la lingua friulana. L'obiettivo centrale del Piano—di “rendere il friulano una lingua parlata e scritta in ogni situazione comunicazionale della vita pubblica e privata”—è senz‘altro lodevole; e le lodi sarebbero ancor più meritate se riuscisse, grazie ai provvedimenti da esso proposti, a preservare le varianti e ad arrestare o almeno a frenare il declino del numero dei parlanti. Sull'esito e successo del Piano però, e


purtroppo, è lecito dubitare, e per varie ragioni. Gli ostacoli più significativi, comunque, sono due.

In primo luogo è la natura stessa della lingua friulana. Il Piano riconosce che il friulano è composto da una varietà di dialetti (friulano centrale, friulano occidentale, ecc.). Inoltre, la lingua friulana non è nessuna di queste varianti in se stessa ma è invece l'insieme di ognuna di esse. In secondo luogo è lo scopo stesso di voler tutelare la lingua friulana: per quale motivo vogliamo che il maggior numero possibile di friulani sia capace di esprimersi bene in friulano, nel parlare e nello scrivere?

Ostacolo primo. Il friulano è composto da diverse varianti, ma per il Piano è necessario che “si stabilizzi una forma standard accanto alle sue varietà, che vengono lasciate alla spontaneità individuale.” La promozione di una forma standard, però, non è attuabile senza far danno alle varianti. È da notare che per alcuni non è vero che la forma standard sia una delle varianti: per essi la forma standard è una lingua che tutte le varianti hanno in comune. Corrisponde questa asserzione alla realtà delle cose? Non sembra. Infatti, se ciò fosse vero, non si verificherebbero curiosità e controsensi come questi:

-Applicazioni come il Grant Dizionari Bilengâl Talian Furlan servono gli interessi—quasi esclusivamente—del friulano centrale. Per me—tanto per dare un esempio—che uso il friulano occidentale, questo dizionario (per ben fatto che sia) mi è di utilità molto limitata. La risposta che ottengo spesso quando cerco l'aiuto del dizionario è un semplice (e onestissimo) “parola non trovata,” con l'aggiunta, non priva di ironia, di “cirivistu, ecc.”, espressione di un friulano prettamente centrale che ha ben poco in comune con la variante occidentale. Esempi di parole che provocano la risposta “parola non trovata“: ic, cìcara, cica, socia, vu, ecc. E se in un attacco di nostalgia cerco la parola friulana per chierichetto, il Grant Dizionari mi offre—con quello che giurerei è un sorriso sardonico—“zagut”, che significa proprio chierichetto—ma non nel friulano occidentale (nel quale zagut diventa “mùcul” o “mucul”), bensì nel friulano di là da l'aghe.

Il Coretôr Ortografic dovrebbe pure esso—secondo quanto leggiamo nel Piano—essere di grande aiuto non solo per coloro che scrivono nella forma standard della lingua, ma pure per coloro che scelgono di scrivere correttamente in qualsivoglia variante.

Ho voluto mettere alla prova due brevi componimenti, il primo un sonetto di Ermes di Colloredo e l'altro una poesia di Pier Paolo Pasolini. Il risultato? Non troppo incoraggiante, come vediamo dalle due immagini. È da temere che i poveri Pasolini e Colloredo non sarebbero rimasti del tutto entusiasti dai suggerimenti (in rosso) offerti dal Coretôr.

  

Si potrebbe obiettare, notando che i componimenti scelti sono poesie, e che non è giusto evalutare poesie facendo uso di un correttore ortografico. Osservazione giustissima. Ma qual'è allora la funzione di questo Coretôr se non lo si può applicare negli scritti di due dei maggiori autori della letteratura friulana? È un quesito, questo, che ci porta dritti al secondo ostacolo.

Ostacolo secondo. A che scopo la tutela del friulano? Ci è detto che lo scopo è di stabilizzare una forma standard affinchè la lingua friulana possa entrare in ogni forma di comunicazione (4D, sopra). Ciò significa che il friulano deve renderci capaci di comunicare più o meno allo stesso livello dell'italiano, e con la stessa efficacia in ogni ramo della conoscenza. È questo veramente lo scopo? Se lo è, e se è raggiungibile solo con la creazione di una forma standard del friulano, non corriamo il rischio di reprimere aspetti della lingua che non si adattano volentieri a cambiamenti imposti dall'esterno? È un bel dire che accanto alla forma standard, lascieremo le varianti alla loro “spontaneità individuale.” Non significa, questo, che le varianti verranno, in effetti, relegate all'oblivio?

Non sono i segni di questo abbandono già evidenti in questo Piano di politica linguistica? Cos'altro, infatti, sono il Grant Dizionari, con le limitazioni già mostrate, e il Coretôr Ortografic, che può forse essere di autentica assistenza ai parlanti del dialetto friulano centrale, ma, come dimostrato, del tutto inutile per le varianti?

Ma c‘è dell'altro. Il dominio del dialetto centrale del friulano è visibile pure nel campo della segnaletica, con l'insistenza che i nomi dei comuni vengano esposti nel friulano standard. Stessa cosa nei social network, in particolare nelle pagine Facebook della Arlef, dove ogni post e ogni annuncio sembra essere di questo stampo:

E voaltris lis comedaiso o lis lassaiso rotis? 😜 Cuâl isal il significât di chest mût di dî?

Belli e divertenti questi annunci o quesiti, e soprattutto leali alla forma standard del friulano, ossia alla variante di là da l'aghe.

Ci è dato da intendere che “un piano di politica linguistica non è, e quindi non deve essere visto come un arbitrario tentativo delle autorità di imporre dall’alto usi linguistici alla popolazione” (4C, sopra). Si vorrebbe credere alla veracità di questa asserzione. Gli esempi appena offerti, purtroppo, suggeriscono ben altro. Un ultimo esempio: fra le sue diverse funzioni, la Arlef ha pure il compito di “promuovere le “attività, svolte da soggetti pubblici o da soggetti privati particolarmente qualificati, finalizzate a promuovere la lingua friulana nei settori dell'editoria, dello spettacolo e della ricerca scientifica” (5B, sopra). Anni or sono la casa editrice Del Bianco, friulana, si era offerta di stampare e pubblicare la mia traduzione dell'Orlando Furioso. A quei tempi ci tenevo molto a questa offerta, ma i costi essendo stati per me un po' troppo esigenti, mi rivolsi alla Arlef per assistenza, la quale, lo ammetto, si mostrò disponibile, ma solo a patto che io riscrivessi il mio lavoro (ognuna delle quasi cinquemila ottave del Furioso) nella grafia del friulano standard. Se, poi, ci risovveniamo dell'assistenza finanziaria che la Arlef riceve in via diretta o indiretta da Roma per la tutela e promozione della lingua friulana—della quale somma, se non sbaglio, le varianti, ricche nella loro “spontaneità individuale,” ricevono poco o nulla, ci accorgiamo che alla lingua friulana, nel suo contesto storico-culturale, rimane ben poco da sperare. E quel poco lo si può forse trovare in una osservazione del Piano riportata più sopra: “Sembra ragionevole investire anzitutto nelle aree territoriali dove è maggiore la concentrazione di parlanti e dove il friulano è usato più frequentemente, e questo al fine di puntellare il suo uso e la sua trasmissione, lasciando però ai parlanti, a seconda dei luoghi e dei contesti, il compito di elaborare la propria sintesi fra tradizione e modernità.” (4B) Proprio questo, dunque, è il punto chiave sul quale ci resta da sperare: di lasciare ai parlanti il compito di “elaborare la propria sintesi fra tradizione e modernità.”


Come elaborare la sintesi fra tradizione e moderità

Pasolini, in uno dei suoi scritti, ci offre una possibile soluzione:

“Quando parlate, chiacchierate, gridate tra di voi, adoperate quel dialetto che avete imparato

da vostra madre, da vostro padre e dai vostri vecchi. E sono secoli che i bambini di questi posti succhiano dal seno delle loro madri quel dialetto, e quando diventano uomini, glielo insegnano anche loro ai propri figlioletti. [...] il dialetto è la più umile e comune maniera di esprimersi,

è solo parlato, a nessuno viene mai in mente di scriverlo. [...] Se a qualcuno viene quella idea,

ed è buono a realizzarla, e altri che parlano quello stesso dialetto, lo seguono e lo imitano, e

così, un po’ alla volta, si ammucchia una buona quantità di materiale scritto, allora quel di-

aletto diventa “lingua”. La lingua sarebbe così un dialetto scritto e adoperato per esprimere i sentimenti più alti e segreti del cuore. [...] Quando un dialetto diventa lingua, ogni scrittore

adopera quella lingua conforme le sue idee, il suo carattere, i suoi desideri. Insomma ogni scrit- tore scrive e compone in maniera diversa e ognuno ha il suo “stile”. Quello stile è qualcosa di interiore, nascosto, privato, e, soprattutto, individuale. Uno stile non è né italiano né tedesco

né friulano, è di quel poeta e basta.” (P. P. Pasolini, Dialet, lenga e stil, in P. P. Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte)

A primo impulso si è forse tentati di deridere il Pasolini per questa sua teoria dell'evoluzione di un linguaggio, di come, cioè, un dialetto diventa lingua. E difatti non esiste contrasto più netto fra questa teoria (di progressione naturale fra diletto e lingua) e la metodologia promossa e applicata dal Piano Generale di Politica Linguistica e quindi dalla Arlef, il cui obiettivo è puntato sulla creazione e sviluppo di metodi di scrittura e di standardizzazione anziché sull'appoggio alla creatività individuale dei parlanti.

Storicamente, però, è la teoria del Pasolini—o qualsiasi altro concetto di come nasce e si sviluppa una lingua in modo naturale—che prevale. In questo riguardo dovrebbe bastare uno sguardo all' evoluzione della lingua italiana, che nasce dalla frammentazione e volgarizzazione della lingua latina e, in seguito si evolve grazie all'intervento di personalità come San Francesco e poi dei grandi genii italiani, Dante, Petrarca, Boccaccio, e pIù tardi dell' Ariosto, del Tasso, e poi ancora dei loro discepoli che coi loro esempi, e non certo grazie ad agenzie dedicate alla promozione della lingua, cimentarono la lingua italiana. Mentre in altre parti della nostra penisola la lingua volgare lussurreggiava, nel nostro friuli il volgare rimaneva per secoli quell'insieme di parlate che conosciamo. Di Dante e Petrarca non ne spuntarono mai in terra friulana ad elevare coi loro lucenti esempi le nostre ruvide parlate. Ci chiediamo: ma perché questo sbilancio? perchè questa straordinaria assenza? Si potrebbero offrire molte ipotesi, tutte, però, avviluppate in incertezze. Sappiamo che molti artisti venivano sovvenzionati dalla Chiesa nell'età medievale e rinascimentale, e che poeti come l'Ariosto avevano l'appoggio e la protezione di famiglie ricche come quella degli Este di Ferrara. Forse queste sovvenzioni non esistevano nel Friuli medievale e rinascimentale, specie nel campo della poesia. Può darsi. La mancanza di scrittori all'altezza dei grandi ferraresi o toscani, tuttavia, rimane un fatto storico. Ed è in questa mancanza che si può trovare la vera ragione dell'intorpidimento del volgare friulano. Se questa, però, era la realtà del nostro friuli medievale, si può con buona ragione affermare che la situazione non è più la stessa. Nel tardo rinascimento— risulta—il Friuli ha avuto un poeta di cui si può vantare e grazie al quale una delle varianti del friulano ha dimostrato di possedere autentiche capacità poetiche. Parlo, ovviamente di Ermes di Colloredo. Quello che conta ancor di più, però, è stato l'avvento di Pier Paolo Pasolini che con il suo genio poetico ha dimostrato che la capacità letteraria della lingua friulana è da trovarsi in più di una delle sue varianti. E— notiamo— questa capacità è stata dimostrata in ambedue i casi (quello del Colloredo e quello del Pasolini) senza nessun appoggio o sovvenzione.

Il lettore potrebbe obbiettare: ma se c'è verità nella teoria del Pasolini sulla genesi e sviluppo di una lingua, perchè mai una lingua friulana scritta non ha preso piede e sostanza attorno agli esempi dati dal


Colloredo e dal Pasolini stesso? Per quanto riguarda il Colloredo a questo quesito si potrebbe rispondere semplicemente coll'osservare che ai suoi tempi la stragrande maggioranza degli italiani, inclusi i friulani, era analfabeta e quindi incapace di emularlo nei suoi scritti. E ai tempi del Pasolini il nucleo letterario che si stava formando ebbe, all'inizio degli anni Cinquanta, lo strappo violento che conosciamo.

Un'osservazione sulle sovvenzioni:

La Repubblica italiana, come abbiamo già visto (6, sopra), tutela e valorizza non solo la lingua friulana in se stessa, ma “promuove altresí la valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge,” inclusa la lingua e cultura friulana. La costituzione della lingua friulana nella varietà dei suoi dialetti fa parte della storia del Friuli ed è perciò alla radice della cultura friulana. Sembra irrefutabile, quindi, che se vogliamo ritenere e valorizzare il “patrimonio linguistico e culturale” del Friuli dobbiamo fare il possibile per riconoscere il valore non di una sola delle varianti della lingua ma di ognuna delle varianti. Questo, al momento, non viene fatto, o viene fatto solo in maniera così tangenziale da essere praticamente insignificante, come attesta l’obiettivo fondamentale del Piano Generale di Politica Linguistica per la lingua friulana, (cioè, di “rendere il friulano una lingua parlata e scritta in ogni situazione comunicazionale della vita pubblica e privata”) in cui non si fa nessun riferimento a cultura. Non credo di essere in errore nel pensare che gli stanziamenti allocati dalla Repubblica per finanziare le attività descritte nel Piano Generale verrebbere realizzati anche nel caso che gli enti provinciali a carico della tutela della lingua avessero come obiettivo non solo la standardizzazione della lingua ma pure la valorizzazione dei suoi aspetti storico-culturali, i.e., delle varianti.

Rivediamo, in breve, la situazione di oggi.

L'obiettivo principale degli organi di tutela (la Arlef in primis) è semplicemente quello di “rendere il friulano una lingua parlata e scritta in ogni situazione comunicazionale della vita pubblica e privata.” Per lodevole che sembri, questo obiettivo ha come necessaria conseguenza la scelta di una delle varianti della lingua e l'abbandono, o almeno la trascuratezza di ogni altra variante. Anche la lettura più superficiale del Piano Generale di Politica Linguistica rivela chiaramente che questa è la realtà delle cose: milioni di euro vengono stanziati per la standardizzazione della lingua friulana—nel campo della segnaletica, della scuola, della pubblicità, ecc. Quale percentuale di questi milioni vengono allocati alla tutela delle altre varianti è facile immaginarlo. Per critici che si voglia essere, tocca, purtroppo, accettare la necessità di questo stato di cose. Non c'è via di scampo: senza il sacrificio delle varianti non si può arrivare a una standardizzazione. Ma la standardizzazione non è un male in se stessa: è, infatti, qualcosa da desiderare. Quello che è veramente un male è la maniera, se non addirittura violenta, almeno prepotente di realizzare questo obiettivo. Se questi termini sembrano esagerati, si vedano i commenti stessi del Piano (3A-D, sopra), secondo i quali è dimostrato che l'imposizione della versione standard è vista come un oltraggio ai valori culturali della lingua, come lingua di casa, e degli affetti. Il male c'è, insomma; ed è proprio lì, in questo oltraggio.

Ma potrebbero le cose essere differenti?

La risposta ce l'à data il Pasolini, come abbiamo visto: “il dialetto è la più umile e comune maniera di esprimersi...se a qualcuno viene quella idea (di scriverlo) ed è buono a realizzarla, e altri che parlano quello stesso dialetto, lo seguono e lo imitano, e così, un po’ alla volta, si ammucchia una buona quantità di materiale scritto, allora quel dialetto diventa “lingua”. La lingua sarebbe così un dialetto scritto e adoperato per esprimere i sentimenti più alti e segreti del cuore....”

È questo il metodo che, come nel dipinto di Michelangelo in cui Dio allunga la mano verso la mano di Adamo, ci ha donato la lingua italiana; ed è lo stesso metodo che, grazie alle opere di scrittori come il Cervantes, Chaucer, Shakespeare, Goethe, e perfino Luther, hanno raffinato e arricchito lo spagnolo,


l'inglese e il tedesco.

La situazione è quella che è; e a noi che osserviamo dai lati non ci resta che di sperare che il friulano

sopravviva come lingua e come cultura.

Ci rimane un rimpianto: che non siano (stati) applicati metodi più naturali—come già accennato— per mantenere in vita la nostra lingua e la nostra cultura.



Saturday, September 24, 2022

Dimorphos

Aliej i eri stàt tentàt di sercjà chel bièl func ch'i vevi cjatàt in tal me ort, ma il pensej che il func al fòs stàt un amanita di chej velenòus a mi veva fàt na poura da mat, e cussì i vevi bandonàt l'idea di mangjalu, e di contentami invensi di gòdimi la so bielesa. Dut benòn, alora: i podevi cussì tornà a calmami e a vivi di nòuf la me sòlita vita, che par tran tran ca sedi a à almancu la virtùt di èsi na vura prevedìbil in ta la so regolaritàt.

Ma vuej se susèdia? A susèit che la NASA a à apena anuncjàt che domàn un daj so ras al zarà a sbati in ta Dimorphos, na lunuta dal asteroid Didymos. I no vèis nisuna idea di cuant che chista intensiòn da la agensìa mericana a mi fà tremà da la poura—e na vura di pì dal timòu di vignì velenàt da chel fungùt spuntàt fòu in tal me ort. I pensarèis: ma daj, daj, a no ocòr dasi nisùn pensej; che chistu sperimìnt da la NASA a nol zarà a fàighi mal a nisùn: al sarà coma mandà un muscjn a scuntrasi cuntra il tronc di un moràr. I vorès tant encja jò vej che fede ch'i vèis vuàltris, che certesa ca no susedarà nuja di brut, e che duncja i podìn stà in pas e zì a durmì cun trancuilitàt. Magari ch'i la pensàs cussì encja jò! E invensi jodèit vuàltris sè ca mi pasa pal cjaf. Il asteroid Didymos al è pì o màncul 11 miliòns di chilòmetros lontàn e, se nisùn a si mèt a tichignà cun luj intànt cal fà i so zìrus bigulòs atòr dal soreli, a ni sigura la NASA ca no è nisuna pusibilitàt cal vegni maj a scuntrasi cu la nustra cjera e fà chel fracàs che n'altri famòus asteroid al veva fàt incovolta daj puòrs dinosàuros. Ma la NASA a si mèt pròpit a fà chel tichignès ca sà ca no varès da fà: a vòu jodi se il sbati dal  ras cuntra Dimorphos al zarà a fàighi cambià diresiòn. Chistu tichignamìnt da la NASA al è ben intensionàt; i soj il prin a amètilu. A sà ch'i no vìn nuja da temi da Dimorphos (s’i no zìn a tocjalu): a vòu doma jodi se na buna dì a ni sarà pusìbul fàighi fà na deviasiòn a cualchi pìsula lunuta ca stà vign dreta vièrs di nu. L'intension a è buna, i lu ripèt. Ma dišìn che il sperimìnt al funsioni benòn, e che Dimorphos, che adès a no ghi interesa nuja dal nustri planeta, al cambi sul seriu diresiòn e a si meti dut ta un colp a svualà vièrs di nu. Chel lì, buna zent, al è il me grant timòu, timòu mil vòltis pešu di chèl di zì a sufrì il mal di pansa par cauša di un func: che chista lunuta che adès, contenta e beada, a stà zìnt atorotòr di so mari Didymos, a vegni a fracasasi in ta la nustra puora cjera, caušànt un scumbusulamìnt da l'osti e che dùcjus nuàltris i zini a finila coma i stregosàurus di na volta. Che lì a è la me poura—e i no saj s'i rivaraj a durmì stanòt.


Tuesday, September 20, 2022

Set.19/22

La Regina Lišabeta a è stada aliej

a la fin fin soterada, 

dopo cuaši do setemànis di comemorasiòns

ešeguìdis in maniera impecàbil e sontuoša.

Dut chistu al è stàt notàt e aplaudìt

daj giornaj di dut il mont:

We sent her victorious, al à scrìt The Sun;

Go forth on thy journey, a ghi à fàt èco The Tmes;

Un inchino immenso, al à ricognosùt Il Corriere,

concordàt da La Stampa:

Il mondo si inchina a Sua Maestà;

il Das Bild stes al à notàt che

Die Welt weint um die Queen.

Li celebrasiòns insoma a sòn stàdis oservàdis

da dut il mont, fòu che da na ùnica persona—la Regina stesa,

che, s’i pensàn a la so ùmil maniera di regnà,

a varès par sigùr dita:

no, no, nisùn omp, nisuna fèmina

a no mèreta nè a no à maj meretàt

duta sta pompa e ceremònia,

e dišìnt chistu a ni varès deprivàt

di godi la sublimitàt dal spetàcul.


Thursday, September 15, 2022

Ombra di corruzione

 A due settimane dalle elezioni i quotidiani e il resto dei mass media italiani diffondono la notizia che, secondo Tony Blinken, segretario di stato degli Usa, esiste la possibilità che alcuni dei politici italiani ricevano una busta paga dalla Russia. È vero che, a quanto scrivono i quotidiani, il governo americano, per ora, non pubblica i nomi dei Paesi e dei politici corrotti dalla Russia, sebbene che, essendo l'allarme stato lanciato da Blinken, alto funzionario americano di tendenza molto liberale, non è difficile indovinare chi siano—secondo Blinken—questi politici italiani sui quali cade ora questa ombra di corruzione.

Grazie al segretario di stato americano, gli italiani si trovano ora di fronte a un dilemma: votare o no per dei candidati su quali incombe improvvisamente il sospetto di corruzione.
Il governo americano non pubblica per ora i nomi dei sospetti. E perchè dovrebbe mai farlo, essendo lo scopo già stato raggiunto? Non ha già fatto—Tony Blinken—la parte del buon samaritano coll'avvertirci che c'è stata interferenza su quella che dovrebbe essere una libera elezione? 
Rimane solo un quesito: chi è che sta veramente interferendo—la Russia? o l'America?

Ermes Culos
Ashcroft, BC Canada

Sunday, August 28, 2022

Vancouver August 2022

 Vancouver revisited


Then.

Glass towers still to be imagined.

Tallest and most imposing structure: Hotel Vancouver.

I walk by the main entrance, wearing a suit and tie,

like everyone else, it seemed then,

imagining myself a guest of the hotel,

seeing, as in a dream,

a young girl in a sleek leather outfit

stepping out of the hotel, laughing,

alongside of an impeccably dressed man… 




Now.

Glass towers all around, no longer just imagined.

Hotel Vancouver,

like an old suit taken out of a closet for dusting,

still shows an aging elegance,

but a young pretty girl no longer

walks out of its main entrance in ostentatious elegance,

nor is she accompanied by a suit and tie.

She is of course as pretty as ever

but instead of a sleek leather outfit

she is wearing jean cutoffs,

as on this splendid summer afternoon

they dazzle in the streets below

as the glass panels do on the towers above.


The city’s major  churches

once towered over the city,

and through their imposing size 

and artistry of design

they heralded authority

and spiritual comfort.





They are still there these ancient relics,

though smothered and scrunched,

no longer doling out

but seeming to beg for compassion,

like crumpled up homeless

in the streets.


And the people—

speaking in a babel of languages,

with a yes and an ok sometimes audible

to the attentive ear;

with fingers feverishly tapping away

at an iPhone or a Samsung;

searching for something, anything…


No sign of newspapers 

or newspaper stands anywhere—

the answer to all the tapping?


I remember, in the days before

the world became pocket size,

the international newspaper store

(Ezio and I were regulars there)

in a drabby part of East Hastings—yes—

but a true www even so,

where the old world met the new.


Then and now,

with now the more 

soul-less of the two—

and yet

on Thursday night,

a sultry summer night,

in a square on Water’s Street,

the Vancouver Metropolitan

freely and feelingly entertained 

to strains of the Sound of Music

tourists and residents,

and rich and humble alike.


Wednesday, August 17, 2022

Pasolini e Bepi Peloj

 


Pasolini e Bepi Peloj. 

Il prin: artista autèntic; chel altri: bramòus di èsi artista.

Un puc di pì, fra puc, su chistu contràst.

Intànt chistu: che secònt sè ch'i lešìn in ta Atti Impuri a era par cauša di Bepi Peloj che Pasolini al veva tacàt a vej poura che la so inclinasiòn sesuàl a vegnès cognosuda da la zent, roba che—in ta na epoca dal dut pre “me too” e pre “Pride,” a varès caušàt, a diši puc, un grant scumbusulamìnt in tal so vivi di ogni dì. Coma ch'i lešìn, Pasolini al era stàt clamàt in ta la cjamara da la sòu di P., na zòvina slava che par ic il Pasolini (coma ch’a ni dìs) al veva tanta afesiòn. Uchì (i lešìn) “ella entrò subito nel merito dicendomi che lei e P.  temevano Peloi per me, e lo temevano in quanto io avevo simpatia per i ragazzi (era la prima volta che il mio segreto…mi appariva in una simile luce…) E a no vèvin tuàrt a vej timòur par luj, coma che li ròbis a vèvin da provà cualchi àn dopo. Ma lasàn stà, o almancu contentansi di diši un O tempora, O mores!

Su Bepi Peloj i vuej diši ben altri, ma par adès i vuej minsonà n'altra pìsula curiošitàt.

“Alcune sere dopo ci trovammo io e lei (P.) nella stradicciola di Versuta (ricordo la siepe e il fosso; li ho davanti agli occhi…).” Cussì Pasolini. Bon. Nuja di stravagànt. Fòu che chistu, che chista “siepe e il fosso” a mi ripàrtin in mins che in tal stes ziru di timp (in ta la estàt dal '45, i cròt) iò e i me compàis di scuela, e un mestri che forsi al era il maestro Castellani, i èrin zùs a fà na scampagnada a Versuta, indulà che sot di na “siepe“ dongja di un fosál i vevi cjatàt na rivoltela, picinina e scura, ma ben svueleàda. I la vevi cjapada sù e da bon studentùt i ghi la vevi data al mestri, ch'a ti la veva metuda in sacheta e doma Diu al sà sè che cun chè al sarà zùt a cumbinà. Che rivoltela lì a varà sens'altri vüt na storia interesanta, ma chè jò i no la saj, e alora lasàn pierdi.

I torni invensi su Bepi Peloj.

Par Pasolini Bepi Peloj al era un intrìc. Chistu i lu savìn belzà. Ma par Pasolini al era un intrìc encja par n'altra rašòn. Al conta Pasolini:

“In quel periodo io ero anche impegnato, ma alquanto distrattamente, nell'«affare Peloi». Costui, un giovane chierico di San Giovanni, decisamente pazzoide,  faceva il pittore; un giorno capitò nella chiesetta di Versuta, incaricato dal prete ad addobbarla per non so che festa; gli venne così l'idea di completare gli affreschi trecenteschi della parete Sud e quelli quattrocenteschi, bellissimi, dovuti forse a un avventuroso discepolo del Beato Angelico…che venne così a deturpare quel luogo che mi era carissimo. Si aggiunga inoltre che un ragazzo mi avvertì che per preparare il suo affresco quello squilibrato aveva scalpellato la parete, e in seguito a ciò erano venuti alla luce alcuni frammenti a cui naturalmente il Peloi non aveva prestato attenzione continuando imperterrito a scalpellare. Ecc.” 

Che Bepi Peloj al sedi stàt estròus a no si lu pòl negà. E a è pusibilìsin che in taj frèscos da la glišiuta di Versuta al vedi fàt da li grandi monàdis. Par un momènt, però, i vuej difìndilu. Sinò se sorta di (secònt) cušìn) i ghi sarèsiu? Per dut il rispièt ch‘i ài par Pasolini, i no pòl fà di màncul da tegni in mins che Pasolini al à scrìt chista descrisiòn di Peloj àis dopo di vej lasàt Versuta, e adiritura dopo di èsi stàt custrinzùt a bandonà il paìs di so mari. (E coma ch'i savìn, s'a ghi veva tocjàt bandonà Cjašarsa a era pì di dùt par che sorta di rivelasiòns che àis prima Pasolini al veva temùt dal Peloj.) A no sarès tant da surprìndis, duncja, se il cuadri dal Peloj che Pasolini a ni pitura al è un puc incjalinàt dal fat che il Pasolini a la veva sù, e un bel puc, cul pitòu di San Zuan. A no è da escludi, par ešempli, che se il Peloj al veva paràt via a “scalpellare la parete,” a era parsè che Peloj stes a si era necuàrt che sot da la cjalsina cal “scalpellava” a si tegneva platàt alc di grant valòu. (Coma, a propòšit, al varèsia Pasolini podùt savej che a chiscju “frammenti” Peloj a no ghi veva “prestato attenzione”?). Bepi Peloj al veva li so stranèsis, d'acordu. Ma a no pòsia dasi che s'a no fòs stàt par che rivelasiòns ch'i ài minsonàt pì'n sù, Pasolini, invensi di clamà Peloj “decisamente pazzoide,” a si varès contentàt di clamalu “estròus,” coma che, cu la so pasiòn par ogni sorta di rafigurasiòn bìblica o religioša, il Peloj a si lu varès meretàt. E tant par concludi, cuant dan a ghi àia il Peloj in realtàt fàt ai frèscos da la glišiuta di Versuta? A ešistia na docomentasiòn fotogràfica dal prin e dal dopo? I varès gust di jòdila. 

Friday, August 12, 2022

Othello

 Traduzione integrale ora disponibila a lulu.com/spotlight/ermesculos

On PR name change

 

My response to Facebook post, just below:


A set of 11 recommendations, put out apparently by the Possible Name Change Joint Working Group, has been posted on Facebook.

If these recommendations are indeed the expression of the above named Working Group, then, aside from the vagueness and ambiguity of some of the individual recommendation, it appears that the Working Group is not being altogether impartial in the matter of a possible name change. And impartial it should be.

It is easy, for example, to agree with the basic premise of R1, but the insertion of “reconciliation” at the end of the statement strongly suggests a bias in favour of the proponents of a name change.

The targeting of “under-reached demographics” in R2 is unclear in its meaning, though the wording “under-reached” presumably refers to the proponents of the name change.  (NB, if under-reached refers to the indigenous residents of Powell River, and if I were an indigenous resident, I would not be very happy at being labeled “under-reached,” at least not in today’s Powell River.)

R3 makes no sense. (Is this really a situation that invites violence?)

R4 is a clear position of intent favouring name change. So is R6. So is R7. So is R8. So is R9. So is R10.

As for R11, the statement that a referendum is not the appropriate tool to utilize right now is a fair statement.  After a suitable period of clarification, however, a referendum (or public opinion poll) is the only reasonable way to resolve this dispute over a name change. There are those who feel that a referendum (or public opinion poll) leads to the “tyranny of the majority.”  Even so, the rule of the majority has to be a lot better than the “tyranny of the minority.”

A final word: the concept of reconciliation is prominent in this set of recommendations, yet it is never really defined. However we choose to define it, though, the concept has to involve “compromise.” Now, it is my understanding that those who call for name changes have already won two significant battles: both the Powell River District and the local hospital are now given indigenous names. Shouldn't the Tlamin Nation, in a true gesture of reconciliation, simply come forward and allow the city of Powell River to retain its current name?


Found on Facebook


qathet friends: ACTION TODAY!!

Council will be likely be considering a motion about the recommendations (included at the bottom) from the Possible Name Change Joint Working Group on August 18. Let's help them feel confident in endorsing the 11 recommendations!!

Send an email to info@powellriver.ca MONDAY or TUESDAY with the following:

1. Dear Mayor and Council,

2. Your name and where you live (e.g. that you live in the City).

3. That you are writing to encourage Council to support all 11 of the recommendations of the Possible Name Change Joint Working Group.

Literally that's it at the minimum.

Optional:

3. Any affiliations (e.g. tax payer, business owner, how long you've lived in town, if you attended any of the name change events, any relevant community involvement).

4. Why you support the recommendations. 

Letters are (unfortunately, but truly) one of the most powerful ways for council to understand the will of the public. Write asap to be included in an upcoming meeting package.

***Recommendations from the Joint Working Group (also at powellriver.ca/pnc):***

1. That additional public education and community engagement activities be planned on issues of shared values, history, and reconciliation.

2. That engagement activities be targeted to under-reached demographics.

3. That future engagement on the name change be designed to maximize the safety of all participants.

4. That the City make reconciliation and relations with Tla’amin Nation a strategic priority.

5. That Tla’amin Nation develop a set of educational materials describing what they want their neighbours throughout the qathet region to know about them, and that the City include this information in training for City staff and leadership.

6. That the City, Tla’amin Nation, and qathet Regional District, through the community-to-community-to-community (C3) process, establish a Reconciliation Committee mandated and resourced to advance reconciliation throughout the City and Regional District.

7. That the City establish staff position(s) to support the implementation of recommendations in this report and maintain positive reciprocal relationships with the Tla’amin Nation and other Indigenous residents throughout qathet region.

8. That public information and engagement events for various ages, groups, and in a range of formats be undertaken to better understand racism and colonialism and promote action to achieve racial equity.

9. That ceremonial efforts be undertaken to reject all forms of racism and support healing and unification amongst all residents of qathet region.

10. That additional community engagement activities be planned on issues of shared values, history, and reconciliation as the basis for identifying options for a new name for the City.

11. That a referendum or assent voting process is one of many available tools to engage the public and gauge public opinion. It is not the appropriate tool to utilize right now. A possible assent voting process and topic should only be carefully considered after implementation of the recommendations of this report.