Monday, September 25, 2017

Petrarca...dal taliàn al todesc al furlàn




Testo: Sonetto 132

S'amor non è, che dunque è quel ch'io sento?
Ma s'egli è amor, perdio, che cosa et quale?
Se bona, onde l'effecto aspro mortale?
Se ria, onde sí dolce ogni tormento?
S'a mia voglia ardo, onde 'l pianto e lamento?
S'a mal mio grado, il lamentar che vale?
O viva morte, o dilectoso male,
come puoi tanto in me, s'io no 'l consento?

Et s'io 'l consento, a gran torto mi doglio.
Fra sí contrari vènti in frale barca
mi trovo in alto mar senza governo,

sí lieve di saver, d'error sí carca
ch'i' medesmo non so quel ch'io mi voglio,
et tremo a mezza state, ardendo il verno. 

Se amòu nol è, se’l èšia duncja chèl ch’i sìnt?
Ma se amòu, po, al è, sè sorta e cual?
Se bon, da’ndulà il dur efièt e mortàl?
Se trist, da’ ndulà ogni so dols turmìnt?
S’i àrt di voja, da’ndulà’l planzi e’l lamìnt?
Se’l mal volùt al è, il lagnasi sè cal vàl?
O muàrt viva, o dols e diletòus di mal
Coma postu tant in me cuntra’l me sintimìnt?

E se’l me consènt ghi daj, cun tant tuàrt lu faj.
Sbalotàt da vins contràris in ta na barcjuta
sensa timonej mi cjati’n ta’un mar dut brut,
di cargu plena e di savej cussì lišeruta,
che jò stes chèl ch’i vuej, po, i no saj,
e’i trimi a mieš’ estàt, e d’unvièr i art dal dut.

Tradusiòn di Martin Opitz, consideràt il pari da la poešìa todescja:

Ist Liebe lauter nichts, wie dass sie mich entzündet?
Ist sie dann gleichwohl was, wem ist ihr Tun bewusst?
Ist sie auch recht und gut, wie bringt sie böse Lust?
Ist sie nicht gut, wie dass man Freud aus ihr empfindet?
Lieb ich gar williglich, wie dass ich Schmerzen trage?
Muss ich es tun, was hilfts, dass ich solch Trauren führ?
Tu ichs nicht gern, wer ists, der es befiehlet mir?
Tu ichs gern, warum, dass ich mich dann beklage?

Ich wanke wie das Gras, so von den kühlen Winden
Um Vesperzeit bald hin geneiget wird, bald her.
Ich walle wie ein Schiff, das in dem wilden Meer
Von Wellen umgejagt nicht kann zu Rande finden.
Ich weiß nicht was ich will, ich will nicht was ich weiß,
Im Sommer ist mir kalt, im Winter ist mir heiß.

Tradusiòn me leteràl, pì o mancu, sensa rìmis.

Se pròpit a nol è amòu, parsè alora mi sìntiu rovàn?
Se alc di cussì al è, cuj’l sìntia’l so efièt?
Se bon dal dut al è, parsè la voja mata ch’i sìnt?
Se bon, po, a nol è, parsè’l faja sinti un dut contènt?
Se vej i vuej sta voja, parsè mi sìntiu cussì mal?
Se stu amòu i brami, parsè alora lamentami?
Se volentej i no ami, cuj a eše ca mi poca a falu?
S’i lu faj volentej, parsè i vaju dopo a lagnami?

Coma l’erba i mi mòuf, che dopo vej gustàt
daj vintulìns par cà e par là pleàt i vèn.
Coma na naf sbalotàt i soj da un mar salvadi,
da li òndis scorsàt e da la cjera lontàn tegnùt.
I no saj sè ch’i vuej, e i no vuej sè ch’i saj,

mi sìnt frèit di estàt, e tant cjalt di unvièr.

Thursday, September 14, 2017

Ius sanguinis

Si discute da tempo su i pro e i con della ius soli, cioè della norma di legge che, fra l’altro, concederebbe automaticamente la cittadinanza italiana a chiunque nato in Italia. È chiaro che molti italiani sono del tutto a favore della ius soli, mentre tanti altri, come per esempio Roberto Marchesi de Il Fatto Quotidiano, ne sono completamente opposti. Quest’ultimo, infatti, insiste che la ius soli avrebbe a lungo andare l’effetto di inquinare la purezza della nostra cultura, e che quindi sarebbe una follia decretarla. Dopo essersi ampiamente sfogato contro la ius soli, Marchesi conclude il suo blog del 17 giugno scorso con questa esortazione: “Teniamoci con orgoglio il nostro “ius sanguinis” che ci garantisce almeno un legame concreto coi nostri avi i quali, anche a costo della vita talvolta, ci hanno regalato questo splendido territorio e questa splendida storia, che costituiscono ora anche per noi un debito che abbiamo verso i nostri figli.”
Pure io mi sento attratto dalle promesse della ius sanguinis, ma certo non dai suoi difetti. Secondo il Marchesi la ius sanguinis “ci garantisce almeno un legame concreto con i nostri avi…” Vorrei sinceramente poter condividere il parere del Marchesi, ma non posso. Il mio caso personale (simile sicuramente a quello di tantissimi altri emigranti italiani) offre una prova tanto indiscutibile quanto  deprecabile che la ius sanguinis, purtroppo, non offre per niente questa garanzia.
Ecco il perché: mio padre come tantissimi altri connazionali si trova costretto dalla miseria del dopoguerra a emigrare in un Canada che in quegli anni accoglieva questo influsso di immigrati con palpabile ostilità (specchio abbastanza fedele dell’ostilità verso gli immigranti nell’Italia odierna). Dopo sei anni di permanenza in Canada viene raggiunto da alcuni dei suoi figli, incluso il sottoscritto. Dati i tempi, e pensando che così facendo avrebbe reso più facile per i figli l’inserimento nella vita canadese, mio padre decide un anno dopo di ottenere la cittadinanza canadese. Noi figli, essendo ancora minorenni, diventiamo pure noi—a parte qualche formalità—automaticamente canadesi. Date le leggi allora in vigore, l’acquisizione della cittadinanza canadese significa la perdita automatica della nostra cittadinanza italiana, per mio padre e per noi figli. Gli anni passano. Mio padre ritorna in Italia. Io e i miei fratelli rimaniamo in Canada. Io eventualmente mi sposo ed ho tre figli. Poi succede questo, che una ventina d’anni fa, circa, una nuova legge entra in vigore in Italia, che permette a emigranti come me—cioè a coloro che avevano acquisito una cittadinanza estera—di ridiventare italiani senza perdere l’altra cittadinanza. Io colgo l’occasione e (col pensiero ai miei figli che—grazie, pensavo, alla ius sanguinis—avrebbero così potuto loro stessi “ereditare” la cittadinanza italiana) e ridivento legalmente italiano. Essendomi a questo punto rifatto italiano, penso, non senza un pizzico di logica, che ora, essendo nato in Italia da genitori italiani (e coniuge per giunta di una donna pure lei figlia di immigranti italiani) ed avendo appena riacquisito la cittadinanza italiana, io penso insomma che grazie alla ius sanguinis dovrebbe ora essermi possibile conferire la cittadinanza ai miei figli.
Così pensavo; ma il mio pensiero, purtroppo, seguiva una logica (in se stessa impeccabile) per nulla condivisa dalle leggi italiane ora in vigore. La ius sanguinis, è vero, decreta che i figli di italiani hanno pieno diritto alla cittadinanza dei loro genitori—ma non nel caso di figli nati in un periodo quando i genitori non erano legalmente italiani. La ius sanguinis, insomma, a questo punto crolla. E nel caso dei miei figli crolla in modo miserabile e, a mio parere, iniquo. Nato in Italia da genitori italiani, vissuto in Italia fino a diciassette anni, sposato con la figlia di immigranti italiani, ridivenuto italiano più di vent’anni or sono; io, che mi sono sempre sentito italiano fino al più profondo dell’anima; ebbene, io, assurdamente, non posso trasferire la mia cittadinanza ai miei figli.
Something, sono tentato di dire, is rotten…ma non in Danimarca, come a questo punto pure il signor Marchesi potrebbe attestare. Ma così sembra essere.
Si dovrebbe o no appoggiare la ius soli? Questo è ora il dibattito in Italia. Ed è un dibattito che bisogna tenere. Dove sono, però, i tentativi di rettificare le ingiustizie radicate nella stessa ius sanguinis? Dov’è la consapevolezza dei torti che vengono fatti a italiani come me e i miei figli?


Wednesday, September 6, 2017

Li cjampànis di San Zuan



A li nòuf di stasera i scoltavi in ta li òndis etèreis
il scjampanà gloriòus da la Marktkirche di Wiesbaden.
Il sunà di sti cjampànis al vegneva, sì, da Wiesbaden, 
ma a mi a mi someava cal vegnès da San Zuan, 
da un San Zuan lontàn lontàn in tal spàsiu en tal timp,
cuant chel mont a no si veva encjamò spalancàt in chèl di vuej 
ma a si concentrava dut in tal sunà  di che cjampànis. 
Al era un sunà da fiesta, ca mi clamava in plasa
a cjatà il mont, encja chèl in chè clamàt. 
Ma nuja. Il sunà di sti cjampànis a mi lasava insiminìt. 
A mi pareva, al sìntilis, di scjafojami, 
coma cuant che dopo un toc sot aga i bramàn di rispirà,
e pì dongja chi sìn da laria e pì a mancjani al vèn il flat,