Monday, September 28, 2020

Latest on “segnaletica” koiné

 Gentile William, grazie per la segnalazione.

Se il libro di D'Aronco mi capiterà fra le mani lo leggerò volentieri. 
Le devo dire, però, che (con dovuto rispetto per le opere di D'Aronco) il titolo stesso di questo libro sa di revisionismo, come—permetta che lo dica—di revisionismo sa pure la Sua asserzione che il koiné sia stato il friulano di scelta del giovane Pasolini.
Quando, nei video accessibili online, Pasolini legge “Il nini muàrt,” lo legge nella schietta parlata casarsese, come nella parlata di Casarsa legge pure “Cjasarsa.” Difficile convincermi che Pasolini faccia questo a un tempo quando la sua predilezione era per il friulano koiné. Difficile convincermi che quello che leggiamo nella Wikipedia non corresponda a verità. (Filosoficamente so che la verità è qualcosa di malleabile, ma se non accettiamo come verità i casi appena citati, allora che cosa rimane di Pasolini a parte di una svariata e amorfa serie di opinioni?) I fatti restano: come poeta e come regista, Pasolini non ha eguali nella storia del Friuli. E non è quindi da sorprenderci se per la Arlef sia cosa molto scomoda quella di avere in Friuli un insigne poeta le cui opere sono espresse in un friulano che non si adegua ai dettati della koiné.
Grazie di nuovo per il “thumbs up” su D'Aronco.
Ermes Culos


On Sep 28, 2020, at 02:14, Cisilino William <william.cisilino@regione.fvg.it> wrote:

Caro Ermes, scrivo solo a Lei.

Se ha occasione, legga “Pasolini riveduto e corretto” di D’Aronco, in cui dà conto di questo aspetto e di tanti altri.

Mandi e ogni ben, William

Arlef replies, and my response

 Caro signor Cisilino—


Ha ragione: è vero che ai tempi de La meglio gioventù (1954) le poesie raccolte inPoesie a Casarsa venivano scritte nel cosiddetto koiné, ma è da notare che, secondo la Wikipedia (Analisi delle opere di Pasolini), queste poesie venivano solo trascritte nel friulano “comune”; in realtà le poesie originali erano state composte nel friulano casarsese. Guardi cosa ci dice la Wikipedia:

“Le Poesie a Casarsa vengono pubblicate a Bologna nel 1942 e riscritte nel friulano istituzionale per la pubblicazione del volume La meglio gioventù...”

Quest'altra osservazione della Wikipedia merita di essere attentamente notata, perché rivela l'importanza che la parlata casarsese aveva per il giovane poeta:

“L'esordio poetico di Pasolini è nel dialetto di Casarsa luogo amato dei suoi soggiorni estivi dove egli scopre la vita e la natura. Il dialetto di questa zona occidentale del Friuli, sul lato destro del Tagliamento, è un dialetto che il poeta usava nella vita quotidiana e senza alcuna tradizione letteraria, era la lingua materna incontaminata ed estranea alle forme moderne che veniva usata in quel piccolo idilliaco mondo. Pasolini individua nel dialetto la lingua intatta dalle contaminazioni della letteratura e della vita borghese sulla quale può agire con una spontanea sperimentazione...”

A questa osservazione aggiungo questo: che Pasolini era a quei tempi perfettamente consapevole che il “koiné” aveva già una tradizione letteraria (con Di Colloredo, ecc.). Ma è precisamente per questo che Pasolini vedeva nella parlata casarsese, incontaminata da convenzioni, la libertà di agire “con spontanea sperimentazione.” Quindi la necessità poetica, per Pasolini, del friulano casarsese.

Salùs,

Ermes Culos




On Sep 28, 2020, at 00:01, Cisilino William <william.cisilino@regione.fvg.it> wrote:

Preg.mo,

il cartello da Lei segnalato non è quello di inizio centro abitato (su cui viene ammessa la varietà locale), ma un cartello direzionale che è rivolto all’intera comunità friulana e non solo agli abitanti di Casarsa, anche perché può essere posto in un luogo molto lontano dal centro abitato considerato (anche 50-100 Km). E’ per questo che tali cartelli sono sempre messi in lingua comune.

Quanto a Pasolini, faccio notare che la stesura originale di “Poesie a Casarsa” è scritta in koinè. Quindi anche Pasolini diceva e scriveva Cjasarse.

Mandi, William Cisilino

 

 

Da: Ermes Culos [mailto:eculos@hotmail.com
Inviato: venerdì 25 settembre 2020 23:39
A: Agjenzie Regjonâl pe Lenghe Furlane
Cc: 
ufficio.centrale@messaggeroveneto.itcultura@gazzettino.it; Segreteria - Casarsa della Delizia
Oggetto: Segnaletica fuorviante

 

Spettabili dirigenti 

Per l’iniziativa di garantire che le indicazioni stradali all'interno del Friuli rechino il toponimo friulano accanto a quello italiano la Arlef merita indubbiamente un forte elogio. Meno forte, purtroppo, diventa questo elogio quando ci accorgiamo che l'iniziativa Arlef porta a risultati visivi e, almeno per i Casarsesi, sconcertanti come quello indicato nella foto allegata, dove il toponimo friulano per Casarsa diventa Cjasarse. Chiamare Casarsa Cjasarse all'interno degli uffici della Arlef, dove per friulano si intende il friulano cosiddetto “comune”,  è cosa naturalissima. Ma non è per niente cosa naturalissima in zona casarsese. Direi di più: che a Casarsa e in località circostanti il toponimo Cjasarse  nelle indicazioni stradali viene percepito da tanti come uno schiaffo. E come un'offesa verrebbe senza dubbio accolto da Pier Paolo Pasolini, il più grande poeta e artista friulano di ogni tempo, per cui la parlata di Casarsa era, a livello di poesia, preziosissima. (Si veda https://youtu.be/TTmaYkIcvF4 .) 

La posizione presa dalla Arlef, di promuovere in ogni maniera possibile, la lingua friulana “comune” non è difficile da comprendere. Il guaio è che Cjasarse non ha niente in comune con Cjasarsa. Cjasarsa e Cjasarse appartengono a due distinti varianti della lingua friulana. Insistere sul chiamare Cjasarsa Cjasarse vuol dire negare la realtà di Cjasarsa, negare, cioè, che la lingua friulana ha una ricchezza che va ben oltre i limiti imposti dalla Arlef. Il chè è cosa triste da constatare. Tutelare una lingua minoritaria vuol dire ben altro che cancellare ogni sua inconveniete variante: vuol dire l'esatto opposto.

Distinti saluti,

Ermes Culos

Sunday, September 27, 2020

Misera segnaletica

 Spettabili dirigenti Arlef

Per l’iniziativa di garantire che le indicazioni stradali all'interno del Friuli rechino il toponimo friulano accanto a quello italiano la Arlef merita indubbiamente un forte elogio. Meno forte, purtroppo, diventa questo elogio quando ci accorgiamo che l'iniziativa Arlef porta a risultati visivi e, almeno per i Casarsesi, sconcertanti come quello indicato nella foto allegata, dove il toponimo friulano per Casarsa diventa Cjasarse. 


Chiamare Casarsa Cjasarse all'interno degli uffici della Arlef, dove per friulano si intende il friulano cosiddetto “comune”,  è cosa naturalissima. Ma non è per niente cosa naturalissima in zona casarsese. Direi di più: che a Casarsa e in località circostanti il toponimo Cjasarse  nelle indicazioni stradali viene percepito da tanti come uno schiaffo. E come un'offesa verrebbe senza dubbio accolto da Pier Paolo Pasolini, il più grande poeta e artista friulano di ogni tempo, per cui la parlata di Casarsa era, a livello di poesia, preziosissima. (Si veda https://youtu.be/TTmaYkIcvF4 .) 
La posizione presa dalla Arlef, di promuovere in ogni maniera possibile, la lingua friulana “comune” non è difficile da comprendere. Il guaio è che Cjasarse non ha niente in comune con Cjasarsa. Cjasarsa e Cjasarse appartengono a due distinte varianti della lingua friulana. Insistere sul chiamare Cjasarsa Cjasarse vuol dire negare la realtà di Cjasarsa, negare, cioè, che la lingua friulana ha una ricchezza che va ben oltre i limiti imposti dalla Arlef. Il chè è cosa triste da constatare. Tutelare una lingua minoritaria vuol dire ben altro che cancellare ogni sua inconveniete variante: vuol dire l'esatto opposto.
Distinti saluti,
Ermes Culos

 

Of Escher and other puzzles

 Letter to Scientific American


Dear Sci-Am.

I am thoroughly enjoying the 175th Anniversary issue of Scientific American, as I do every other issue, really. At times, though, I find myself frowning when I read a Sci-Am article. “The Symmetry Pair” by Stephen Ornes is one of these articles. Mr. Arnes’ recollection of Gardner and Escher is great fun to read. At least I found it so, till I came to the line “One key attribute Escher shares with...anyone who finds themselves unable to resist a puzzle...,” and here I have to admit to having been totally unable to resist the puzzle of why Mr. Arnes butchers logic by finding agreement between anyone and finds themselves. I was decidedly irritated at first by this seeming and shameless stooping to linguistic pc. Then, in a flash, it occurred to me that Mr. Arnes was simply, and pointedly, sharing an affinity with Escher's own “blatant disregard for convention and authority.” Puzzle solved, and every trace of annoyance dissolved, I am now back at enjoying the remaining articles in this great issue of the magazine.
Thanks, Sci-Am.
Ermes Culos

Saturday, September 26, 2020

Of walnut and grape picking...all the way to prelapsarian times

 Funny how picking walnuts these fall days leads unavoidably to recalling grape-picking long ago, when I was still a kid. A whole bunch of people—men women and kids—would be clustered around the vines to pick grapes and toss them in wicker baskets. There would be lots of joking among the women and men. There would be lots of singing too. The kids, especially, were encouraged to sing, since, as everybody knew, the more you sang, the less time you spent gobbling up grapes...

And this recollection of grape-picking as a kid leads just as naturally to recalling how kids always referred to their elders as “vu” (Friulian for the Italian “voi” or the English “you”), while for the grownups every kid was a simple “tu.” (The importance of this distinction may not be easy to understand for people who are used to refer to people, regardless of age or status, as “you” and nothing but “you.”
And since one thing always leads to another, this little recollection of the use of pronouns brings to mind my grandparents and the way their use of pronouns reveal so much about how they related to one another: for him, she was always a TU, while for her he was always a VU. And this was true for most other grandparents. This sort of thing, today, is hard to imagine, just as it is hard to imagine that, despite this, there could have been harmony between my grandparents (and there was).




And if all this sounds kind of funny, just think of how our very first grandparents (Adam and Eve) related to one another, at least according to Milton, some of whose poetry I am currently translating and working on):

“...luj par contemplasiòn formàt e valòu,

par teneresa ic, e pa la grasia pì dolsa,

luj doma par Diu, e ic par Diu in luj:

la so front largja e vuli sublìm a declaràvin

sovranitàt suprema; e i so ris di Gjacìnt

da la so front ghi colàvin jù a raps

fin, ma no pi'n jù, da li so spàlis da omp:

ic invensi a lasava che i so cjaviej indoràs

ghi colàsin jù coma un vel fin ai flancs,

sgardufàs, ma cun motu bièl di ondulùtis,

coma anelùs di vit, po, ca volèvin diši

sotmisiòn, ma voluda cun dolsa persuašiòn,

da ic rinduda, da luj volentej risevuda,

rinduda cun sotmisiòn timiduta, modèst orgoj,

e cu la pì dolsa ešitasiòn da maroša.”


(Hee for God only, shee for God in him: 

His fair large Front and Eye sublime declar'd 

Absolute rule; and Hyacinthin Locks 

Round from his parted forelock manly hung 

Clustring, but not beneath his shoulders broad: 

Shee as a vail down to the slender waste 

Her unadorned golden tresses wore 

Dissheveld, but in wanton ringlets wav'd 

As the Vine curles her tendrils, which impli'd 

Subjection, but requir'd with gentle sway, 

And by her yeilded, by him best receivd, 

Yeilded with coy submission, modest pride, 

And sweet reluctant amorous delay.)

(Paradise Lost, Book IV)



For my grandfather, as indicated, my grandmother was always a “tu.” Yet their relationship, though not, maybe, as idyllic as that of Milton's Adam and Eve, was always pretty harmonius, at least in my memory. In fact, it was, in the long run, more harmonious than that of Adam and Eve, who ended up by running into serious gliches.