Tuesday, April 26, 2022

Garibaldi—who was he?

 Dear Editor.

According to Martha Perkins (former editor of Bowen Island’s Undercurrent), Mt. Garibaldi is named after a man who had never done anything even remotely connected to this land, raising the question of why we should continue to call the mountain by that name, particularly when the Squamish First Nation people have a ready substitute for it. 
Both Ms. Perkins’ claim and the question raised by it deserve a brief comment. It is true that Garibaldi had never set foot in this province, but that is not quite the same thing as saying that he had done nothing related to this land. Ms. Perkins does note that Garibaldi was, and is, regarded as a hero by many Italians for his role in the unification of Italy some 150 years ago. But the history books also refer to Garibaldi as l'eroe dei due mondi (the hero of the two worlds) for having dedicated years of his life to fighting for the freedom of the Republic of Rio Grande against Brazil's imperial designs. First Nations people—of all people—will, I believe, go thumbs up on this kind of fighter. So, unless we want to be totally pedestrian, Garibaldi, at least symbolically, does deserve a place way up in our mountains.
Does this mean that the name dear the the First Nations people— Nch’ḵay̓—should be ignored? No; but neither should it replace the existing one. Why not—in the spirit of reconciliation—use both names: Mt. Garibaldi—Nch’ḵay̓?
The concern these days is with any name that carries the stigma of colonialism, and Garibaldi—really—is way down on that list. Other names loom larger: Vancouver...Vancouver Island...Vancouver Sun...Prince George...Prince Rupert...Fraser River...Victoria...and—horrors!—British Columbia itself. Every one of these is an endangered name. 
The latest to fall has been Powell River, for, driven by the historical nuances of the name Powell, PowellRiverites recently adopted the name Qathet for its district, and Qathet-ers are now on the verge of discarding the town’s own name in favour of an indigenous name.
The motivation for having these names changed is not hard to understand: the proponents want the past to be forgotten and, through these new names, to be able to tell a different aboriginal story. It is possible that the perceived evils of colonialism can be erased by the simple act of changing geographical names. But would that be a good thing? Would it not be better to retain these names (possibly in conjunction with new names), and through them, the memory of things we would never want to see happen again?
Ermes Culos

Monday, April 25, 2022

US vs Russia (and beyond)

Die USA sagten am Montag selbst weitere Waffen im Wert von insgesamt 700 Millionen Dollar für die Ukraine sowie für verbündete Länder in der Region vor. Ziel des Westens ist Austin zufolge, „dass Russland so weit geschwächt wird, dass es zu etwas wie dem Einmarsch in die Ukraine nicht mehr in der Lage ist.“ (Die Welt today)

The Ukraine seems to be becoming no more than the place where the fight between the really contending parties (US and Russia) is being waged.

Not good.



Crudeltà

 Chekov, The story of my Life


(Fragment)


“To amuse these ruffians our shopkeepers used to make the cats and dogs drink vodka, or tie a kerosene-tin to a dog's tail, and whistle to make the dog come tearing along the street with the tin clattering after him, and making him squeal with terror and think he had some frightful monster hard at his heels, so that he would rush out of the town and over the fields until he could run no more. We had several dogs in the town which were left with a permanent shiver and used to crawl about with their tails between their legs, and people said that they could not stand such tricks and had gone mad.”


Questo aneddoto (tratto dal racconto di Cechov “La mia vita”) mi risovviene di un periodo crudelissimo di quando io e i miei fratelli eravamo bambini.  Avevamo un cane pastore dal nome Trotski che voleva bene solo a nostra madre. E voleva bene a nostra madre perchè lei era buona con lui, come era buona con noi e con tutti. Per scherzo noi (non la nostra povera madre, che mai avrebbe fatto qualcosa di simile) legavamo un bastoncino sulla schiena di Trotski, con la punta del bastoncino che sporgeva dieci o quindici centimetri di fronte al naso del Trotski. Proprio sulla punta del bastoncino legavamo un pezzetto di carne o di formaggio, e poi lasciavamo che Trotski se ne andasse. E il povero Trotski se ne andava, correndo di qua e di la nel vano tentativo di raggiungere la punta del bastoncino... Questo facevamo al povero cane—e altri simili scherzi. È chiaro che eravamo della stessa peste della marmaglia russa descritta da Cechov. 


Ricordo gli episodi con grande vergogna.


Friday, April 22, 2022

Ukraine e Dostoevski

Certo—come suggerisce Mario Baudino (Corriere, 20 aprile)—di Dostoevski si può parlar male. Si può parlar male di tutto e di tutti. Si può parlar male del grandissimo scrittore russo per averci dato le diaboliche manipolazioni di Pyotr Verkhovensky (nei Demoni) che, si potrebbe dire, sono state di ispirazione a quelle di Putin, o per averci dato Raskolnikov (in Delitto e Castigo) e i suoi pensieri e attività criminali. Certo, di questi incredibili creazioni si può parlar male, come si potrebbe parlar male di  protagonisti come Ivan Karamazov. Sarebbe meno facile, penso, essere critici di Myshkin (in L’Idiota) o di Aliosha (in I Fratelli Karamazov). Sarebbe, infatti, molto più facile disdire di Zelensky e delle sue perpetue—diciamo pure Verkhovenskiane—richieste di armi, il cui effetto—e di questo si potrebbe parlar molto male—è quello di prolungare questo conflitto e di renderlo sempre più sanguinoso, come vediamo nei flutti incessanti di immagini di distruzione che colpiscono in nostri televisori giorno dopo giorno, ora dopo ora. Di tutto ciò si potrebbe parlar male—e forse, è vero, forse si dovrebbe.

Saturday, April 16, 2022

Guerra o pace?


Zelinsky chiede ancora armi, e armi sempre più micidiali, per arrivare alla pace; e noi (europei e americani) ubbidiamo, mi pare, con sempre più docilità. Se veramente gli aiuti bellici portassero alla pace—e la pace si avvicinasse pari passo agli aiuti bellici che offriamo alla povera Ukraina, allora è indubbio che Zelinsky dovrebbe essere ubbidito, sempre, tacitamente, addirittura con entusiasmo. Ma è veramente questo il caso? Le armi che offriamo—letali, indisputabile—giovano per distruggere tanto del materiale bellico russo e a uccidere molti dei soldati russi. Tutto ciò sembra essere indisputabile. Ma l'effetto contrario pare essere pure esso irrefutabile: la guerra prosegue in maniera feroce, e non solo russi vengono uccisi ma un numero sempre maggiore di ukraini. Di segni che i russi stiano per capitolare o pregare per la pace non se ne vede. Ciò che si vede, invece, è che per via di questi, sempre crescenti, aiuti bellici, il conflitto si stia pian piano allargando, fino al punto che il vero focus della guerra non sembra più essere l’Ukraina ma la sfida Russia-Stati Uniti, o—peggio ancora—oriente versus occidente. 
Dovremmo continuare ad ascoltare Zelinsky anche se le sue (in apparenza) lodevoli richieste ci aprono il baratro?
Ermes Culos

Friday, April 8, 2022

Leggevamo un giorno...


Brano di Leggevamo un giorno per diletto. 

(Romanzo ottenibile presso lulu.com/spotlight/ermesculos )


... Rosette lo guardò mentre lui leggeva. E mentre leggeva del bacio “palpitante,” la guardò, guardando le sue labbra e sentì una potente forza gravitazionale che lo attirava verso di loro. Distolse lo sguardo e lesse fino alla fine del brano. Arrivò alla fine e disse, guardando i suoi grandi occhi umidi:


-Vedi come i due amanti sono attratti dal loro bacio e dal loro abbraccio mortale? All'inizio traggono piacere semplicemente dalla lettura di Lancilot e di Guinivere. I versi italiani lo mostrano molto più chiaramente:


Noi leggiavamo un giorno per diletto

di Lancialotto come amor lo strinse;

soli eravamo e sanza alcun sospetto.


Qualunque cosa sia successa in seguito, i due amanti erano dapprima innocenti del potere del loro amore. All'inizio non sentivano altro che il puro piacere di leggere. Erano senza "alcun sospetto.” Ma questo, credo, si allinea abbastanza bene con ciò che Dante dice sull'amore più avanti nel Purgatorio.


-Non importa cosa dice dopo—disse Rosette, asciugandosi gli occhi con la mano—quello che voglio sapere è cosa c'era di così brutto in quel bacio—perché mai era mortale, come hai detto. Era amore, non è vero? Cos'ha questo Dante, cosa ha contro l'amore?


Non credo che Dante avesse nulla contro l'amore—disse Paul. L'opposto, infatti. Guarda come reagisce alla storia di Francesca:


Mentre che l’uno spirto questo disse,

l’altro piangëa; sì che di pietade

io venni men così com’ io morisse.


E caddi come corpo morto cade.


-Diamine—proseguì—anche dalla traduzione inglese si può vedere quanto si sia sentito male Dante nel sentire la triste sorte degli amanti:


And all the while one spirit uttered this,

  The other one did weep so, that, for pity,

  I swooned away as if I had been dying.


-Allora perché farli soffrire le pene dell'inferno se davvero ne provava così tanto dispiacere?—disse Rosette, non ancora pronta a perdonare l'immortale poeta.


-È ciò che mi sono chiesto anch'io molte volte, rispose Paul. Non so davvero perché. Io non li avrei messi nell'Inferno, di sicuro. Al massimo li avrei lasciati in purgatorio per un po'...


-Anche io, disse Rosette; forse nemmeno quello. Dopotutto, perché punirli?


-Se Dante avesse scritto la sua Commedia ai nostri tempi, forse avrebbe fatto la stessa cosa che faremmo io o te. Sono certo che lo farebbe. Ma visse settecento anni fa, in un'epoca in cui la gente vedeva l'aldilà come una cosa molto più reale di quanto molti di noi lo vedano oggi. (Anche se questo lo possiamo disputare se notiamo le cose orribili che alcuni credenti nell'aldilà fanno oggi nel mondo, ma questa è un'altra storia.) Il tredicesimo secolo, e Dante scriveva verso la fine di quel secolo, è stato un periodo in cui molte persone, forse la maggior parte, vedevano questa vita solo come una preparazione per la vita da venire. Pensavano pure che un posto in Paradiso, o anche in Purgatorio, se lo dovevano meritare. E in tal senso Dante fu molto uomo del suo tempo; forse più della maggior parte. Non c'è dubbio che sia stato preso nella ragnatela morale del giorno, che era molto spietata per chiunque trasgredisse in materia di amore. E per quanto Paolo e Francesca si fossero amati, e per quanto Dante avesse sofferto per loro, erano pur sempre colpevoli di un peccato mortale e dovevano essere puniti.


-Ma di che peccato erano colpevoli?—rispose, con una nota di sfida nella voce. Si amavano, non è vero? È l'amore che dovrebbe regnare: tutto il resto dovrebbe girare attorno all'amore. Questa sarebbe la mia regola cardinale.


-Giusto, disse Paul, ma avevano quella regola pure nel medioevo: la chiamavano Amor vincit omnia. Solo loro lo vedevano sotto una luce leggermente diversa. L'amore che conquistava tutto era un amore puro, un amore che obbediva a molte altre ingiunzioni, come quella, diciamo, di non amare qualcuno che è già nel mirino di qualcun altro. Ed è lì che, agli occhi medievali di Dante, Paolo e Francesca inciampavano e crollavano.


-Allora è proprio una bella cosa che questo non sia il tredicesimo secolo, disse Rosette, avvicinandosi sempre di più a lui. Quando amo qualcuno, non voglio che nessuno mi dica che non posso amarlo.


Poi lo guardò negli occhi e disse, scherzosamente:


-E tu... non hai paura del tuo nome? Non hai paura di cadere pure tu, come l'altro Paul?


Saturday, April 2, 2022

Genocidio culturale


Il mondo ieri è stato testimone di qualcosa di straordinario: il riconoscimento (e le scuse) di Papa Francesco che la Chiesa cattolica è stata almeno in parte responsabile, negli ultimi duecento anni, degli abusi e della morte di migliaia di bambini indigeni canadesi e, quel che forse è ancor peggio, di aver perpetrato sugli indigeni quello che uno dei loro rappresentanti ha oggi, in udienza con il Papa, chiamato genocidio culturale. Questo genocidio culturale è avvenuto attraverso l'istituzione di Scuole Residenziali promosse dal governo federale e guidate e amministrate da confessioni cristiane, principalmente la Chiesa cattolica, il cui maggior scopo era quello di privare i bambini delle loro lingue e culture native e di costringerli a imparare la lingua inglese o francese e instillare in loro cultura e valori europei.

È lecito presumere che sia il governo canadese che le Chiese cristiane abbiano agito in buona fede, sperando onestamente di aiutare la popolazione indigena ad apprendere le capacità e i valori eurocentrici ritenuti necessari per prosperare nella società dominante. Se guardiamo indietro a questo aspetto del passato coloniale del Canada, tuttavia, dobbiamo riconoscere che pratiche come l'omologazione culturale equivalgono, in un senso tristemente reale, a un genocidio culturale. Anche Papa Francesco, credo, ha appreso qualcosa di grande valore dall'incontro odierno con gli indigeni del Canada: che tutte le culture hanno un altissimo valore, siano o meno conformi alla nostra.

Mi soffermo su tutto questo non solo perché trovo deprimente tutto quello che è successo in Canada, ma anche perché cose simili, grandi e piccole, stanno succedendo in altre parti del mondo. Il conflitto Russia-Ucraina è prova sufficiente che oggi stanno accadendo cose anche peggiori di quella appena menzionata. Ma accadono anche altre cose che in modi insidiosi minano lingue e cultura. Esempio: il Friuli, dove per promuovere una variante della lingua regionale vengono sacrificate diverse altre varianti della stessa lingua: si cambiano i segnali stradali e i nomi dei paesi nella variante preferita, si insegna la variante preferita nelle scuole, le opere di poeti di altre varianti vengono soppresse o ignorate, ecc. Anche queste cose sono una specie di genocidio culturale, anche se, per loro, i quotidiani non riporteranno mai nessun mea culpa.


Much of the world today was witness to something extraordinary: an acknowledgment (and an apology) by Pope Francis that the Catholic Church has been at least in part responsible, in the past couple of hundred years, for the abuses and deaths of thousands of Canadian indigenous children and, what is probably worse, for having perpetrated on the indigenous people as a whole a kind cultural genocide. This cultural genocide—in the view of some of the indigenous leaders who met today at the Vatican—happened through the establisment of Residential schools—promoted by the federal goverment and ran by Christian denominations, mainly the Catholic Church—whose primary function, was that of depriving the children of their native languages and cultures and coercing them to learn the English or the French language and instilling in them European values and culture.

In fairness we can assume that both the Canadian government and the Christian Churches acted in good faith, honestly hoping to help the indigenous population learn the Eurocentric skills and values needed to cope and thrive in the dominant society. As we look back this aspect of Canada's colonial past, though, we have to recognize that such practices as cultural homologization did, in a sadly real sense, amount to cultural genocide. Even Pope Francis, I believe, has learned something of great value from today's encounter with Canada's first peoples: that all cultures have to be cherished, whether or not they conform to our own.

I mention all this not just out of concern for what happened in Canada, but also out of concern for similar things, big and small, that are happening in other parts of the world. What is happening in the Ukraine today is proof enough that today even worse things are happening than the one just mentioned. But other things are happening, too, that, though little noticed, are working in their insidious ways to undermine languages and culture. Case in point: Friuli, where for the sake of one variant of the region's language, several other variants of the same language are being sacrificed: street signs and town names are being changed to the favoured variant, the favoured variant is taught is schools, the works of poets of other variants are either suppressed or ignored, etc. These things, too, are a kind of cultural genocide, though, for them, no apologies are likely to be forthcoming.