Monday, December 13, 2021

Phobiophobia

 Fobiofobia


A tanti sòrtis di poura

un nòn a ghi dàn, coma

Agarophobia

Clautrophobia

Arachnophobia

Ophidiophobia

Chirophobia

Arithmofobia

e mil altri sòrtis di phobia.

Di vej poura di madràs

a è comprensìbil, a si sà

(sinò parsè fàt al varèsia

il bon Diu il so comandamìnt?)

Ma di sufrì di che altri 

sòrtis di poura—pfui!

Cussì i dišarès, pfui! e basta.

A'n d'è pòuris però

ch'a sòn pòuris vèris,

dal dut da temi e da rispetà.

A cuj, jodèit, a no ghi vègnia

la tremarola doma

al sinti minsonà

la globophobia

o la arachibutyrophobia

o, che Diu ni proteši,

la omphalophobia?

Ma cual nòn ghi dinu

a la pì dolsa da li pòuris—

chè dal frutùt

che par consolasi

dongja a si tèn

da li còtulis da la mari?


Thursday, December 9, 2021

Cura anti Covid

 Ci sono state quest'anno, e ci sono tuttora, in tutta Italia, e non solo, ricorrenza dopo ricorrenza, lettura dopo lettura, sulle opere del nostro sommo poeta. Ed è giusto così. Viviamo in tempi di crisi, economica, sociale, e più di tutto sanitaria; e nessuno come Dante ha la capacità di farci riflettere sulle nostre forze e debolezze, sui nostri meriti e sulle nostre colpe, come lo sa fare lui nella sua Commedia.

In Dante, però, manca qualcosa che in questi giorni dominati dal Covid potrebbe esserci di grande sollievo: manca insomma quella leggerezza di spirito, quel sorriso che invece risplende, da inizio a fine, e ancor più che nell'opera di Boccaccio, in un'altro dei grandissimi capolavori della letteratura italiana, e cioè nell'Orlando Furioso dell’ Ariosto. 

Di misure anti-Covid tante ne sono state proposte e applicate: dal lavarsi spesso le mani, dal mascherarsi, dal tenersi lontani l'uno dall'altro, dal mai frequentare bar o sale da ballo (che di queste salva nos Domine), ecc., ecc.

Ma della forza del sorriso (daltronde universalmente riconosciuta come arma potentissima contro ogni male e ogni forma di scetticismo) non si è  purtroppo preso atto alcuno. Ma il rimedio esiste nella lettura del Furioso, le cui ottave garantiscono in ognuno il ritorno dei sorrisi più gioiosi.

Letto nella sua forma originale o preferibilmente (detto ovviamente senza pregiudizio alcuno) in lingua friulana, il Furioso può, come così chiaramente attestano le due ottave che seguono, trasformare in riso ogni più piccolo sconforto.


Li fèminis, i cavalièrs, li àrmis—i intrìcs, òu—

e li cortešìis jò’i cjanti, e l’imprèšis riscjòšis

cuant che i Mòrus a pasàvin taj timps indavòu

il mar africàn, fašìnt in Fransa tanti monàdis,

da li scorsàdis màtis zìnt davòu

dal re Agramànt, ca si deva àriis

di volej vendicà la muart di Trojàn

sul cjaf dal re Carlo, imperatòu romàn. 


2

Di Orlando i dišaraj in tal stes trat

ròbis maj dìtis nè’n proša nè’n rima:

che par amòu furiòus doventàt al era e mat,

da omp tant di sest e stimàt cal era prima;

se da chè che cuaši altritànt mi’a fàt,

na friguja di chel inzèn che puc a puc mi lima

chel tant a mi vegnarà concedùt

ca mi bastarà par finì sè ch’i’ai jò prometùt….



L'intera traduzione friulana, tanto per semplicificare la ricerca di chi  vuole mettersi a leggerla, e subito, è disponibile presso Amazon.com,

Monday, November 22, 2021

Bandiera furlana

Wikipedia e Pasolini

 Lettera alla Arlef, ecc.

Ho appena letto due articoli, uno in italiano e uno in inglese, su Pier Paolo Pasolini nella Wikipedia e mi sento in obbligo di fare alcune osservazioni sull'immagine di Pasolini e quindi della cultura friulana rispecchiata in questi articoli.


L'articolo su Pasolini riportato in lingua italiana su Wikipedia è stato scritto in maniera semplice e obiettiva da principio a fine.


Lo stesso, purtroppo, non si può dire dell’articolo su Pasolini riportato dalla Wikipedia in lingua inglese. Questo articolo, come dimostrano gli esempi che seguono, manca di coerenza e contiene degli errori grossolani.


Esempio primo:


“In his poems of this period, Pasolini started to include fragments in Friulan, a minority language he did not speak but learned after he had begun to write poetry in it. "I learnt it as a sort of mystic act of love, a kind of félibrisme, like the Provençal poets."[5] In 1943, he founded with fellow students the Academiuta della lenga furlana (Academy of the Friulan Language). As a young adult, Pasolini identified as an atheist.”


In questo brano leggiamo che Pasolini impara la lingua friulana dopo, non prima, di aver scritto poesie in friulano. Possibile? In un certo senso, si; ma senza una spiegazione ciò rimane un controsenso. Il brano asserisce, poi, che nel '43 Pasolini doveva creare la “Academiuta della lenga furlana.” Detto questo, il brano fà un salto improvviso e del tutto inaspettato sull'ateismo del Pasolini.


Esempio secondo:


“On 12 February 1945, Guido was killed in an ambush planted by Italian Garibaldine partisans serving in the lines of Josip Broz Tito's Yugoslavian guerrillas. This devastated Pasolini and his mother.

Six days after his brother's death, Pasolini and others founded the Friulan Language Academy (Academiuta di lenga furlana)...”


In questo brano riscontriamo che la Academiuta era stata fondata nel 45, e non nel 43, come asserito più sopra (Esempio primo). E se non bastasse, il nome della Academiuta è ora “Academiuta di lenga furlana” e non più “Academiuta della lenga furlana.”


Esempio tre:


“A small scandal broke out during a local festival in Ramuscello in September 1949. Someone informed Cordovado, the local sergeant of the carabinieri, of sexual conduct (masturbation) by Pasolini with three youngsters aged sixteen and younger after dancing and drinking.  Cordovado summoned the boys' parents, who hesitantly refused to file charges despite Cordovado's urging.”


Quì l'errore non è di logica o coerenza: l'errore è di fatto. Cordovado non era un carabiniere; Cordovado era semplicemente il paese dove si trovava la stazione dei carabinieri, come infatti notiamo nell'articolo in italiano della Wikipedia:


Il 29 agosto del 1949, alla sagra di Santa Sabina a Ramuscello, Pasolini pagò tre minori per dei rapporti di masturbazione. La voce arrivò ai carabinieri della Stazione di Cordovado, competente per il territorio.”


E che dire di quest'ultimo esempio, in cui l'opposizione all'aborto segue in maniera incomprensibile alla posizione del Pasolini sul declino delle lingue minoritarie?


“Pasolini opposed the gradual disappearance of Italy's minority languages by writing some of his poetry in Friulan, the regional language of his childhood. His opposition to the liberalization of abortion law made him unpopular on the left.”


Pasolini è stato—e rimane—un poeta e artista delle cui opere tutti i friulani (e non solo) dovrebbero sentirsi orgogliosi. Meriterebbe perciò una presentazione molto più competente e raffinata di quella che viene offerta al mondo nel suddetto articolo.


È da sperare che la Arlef e la Filologica diano impegno a qualche esperto in lingua di rivedere questo articolo della Wikipedia da principio a fine.


La Arlef, temo, ha poca simpatia per un Pasolini (che ebbe la temerità di preferire il friulano occidentale al friulano centrale), e così sia; ma se la Arlef ci tiene veramente a far bella figura di fronte al mondo dovrebbe almeno assicurarsi che organi di pubblica informazione, quale la Wikipedia, esprimano cose friulane con dovuta correttezza, grazia e coerenza.


Saturday, November 20, 2021

They'll mourn us not at all

 

They'll mourn us not at all


Tigers 

elephants, 

polar bears

orangutans

gorillas

pandas

snow leopards

all animals we love

all animals we'll mourn

when soon they'll be

with us no more,

but though we're not kind

to insects either,

many many many

will outlast us

and will mourn us 

not at all when

we're dead and gone.



Friday, November 19, 2021

How to destroy a language

 Letter to A

Not surprisingly, whatever merits my work may have, they are definitely “obscured” (the darkening of my work in Friuli is not only visible but also manufactured) by linguistic politics. For the agencies that get all the financing from Rome, my work is very much an inconvenience. These agencies work on the assumption that Friulian has to be standardized and unified, and that therefore any variant from what they regard as koiné is a hindrance and has to be given the thumbs down. And my Friulian doesn't conform—and very much deliberately so, since my view is simple: that if you put on a pedestal one variant of the language, then all other variants suffer and, through lack of recognition or non-use, in time they will go the way of the dodo. (I have no objection to Central Friulian, by the way; none at all: I just don't like the fact that Western Friulian is not given proper recognition. Even my argument that by far the greatest poet Friuli has ever produced—Pier Paolo Pasolini—used my brand of Friulian, not Central Friulian, as his poetic medium, even this argument doesn't work.

Meantime, though, I just carry on.

My Milton work, by the way, sort of takes off from Blake's claim that “Milton was of the Devil's party without knowing it.” Totally agree with Blake. Pretty hard to deny that—if poetic intensity means anything—Milton is at his best when he he tells us about the devil and his mischiefs and—especially—his seduction of Eve in Books 4, 9, and 10 of PL. (That's why, btw, Paradise Regained is not really in my sights right now.) Same can be said about Dante: he is at his best, poetically, when he tosses in hell characters (like Francesca da Rimini, Count Ugolino, and Ulysses) whom he finds very attractive and appealing despite—or maybe because of—their nonconformity.


Thursday, October 14, 2021

A headscratcher

 “È solo attraverso la limitezza del nostro atto dello scrivere che l'immensità del non-scritto diventa leggibile, cioè attraverso le incertezze dell'ortografia, le sviste, i lapsus, gli sbalzi incontrollati della parola e della penna.”        —Calvino

(It is only through the limitation of our act of writing that the immensity of the unwritten becomes legible, that is, through the uncertainties of the spelling, the oversights, the slips, the uncontrolled swings of the word and the pen ...) (Still true even in these days ruled by Facebook and Instagram?)

Rimane vero quello che ci dice Calvino anche in questi giorni dominati dal Instagram e dal Facebook?

Tuesday, October 12, 2021

Sonnet 73

Shakespeare Sonèt 73


Jodi in me  ti pòdis tu che stagiòn dal àn

cuant che fuèis zàlis, o nisuna, o pùcis, a stàn

pindulànt da che bràghis ca trìmin dal frèit,

còrus nus e ruvinàs, cuj usielùs che 'ntòr puc fa a cjantàvin.


In me i ti jòdis il zì jù dal dì

che dopo'l tramònt a òvest al svanìs,

puc a puc menàt via da la not nera,

che sorta di muàrt che a dut ripošu ghi dà.


In me i ti jòdis il lušòu di chel fòuc

ch'al art in ta la siniša da la so zovinesa,

il lièt indulà che a murì al zarà, 

cunsumàt da chèl che nudrìt lu veva.


Dut chistu i ti jòdis, che volèighi tant pì ben a ti fà

a chèl che fra puc lasà 'ndavòu ti tocjarà.







 




Sonnet 73


That time of year thou mayst in me behold

When yellow leaves, or none, or few, do hang

Upon those boughs which shake against the cold,

Bare ruin'd choirs, where late the sweet birds sang.

In me thou see'st the twilight of such day

As after sunset fadeth in the west,

Which by and by black night doth take away,

Death's second self, that seals up all in rest.

In me thou see'st the glowing of such fire

That on the ashes of his youth doth lie,

As the death-bed whereon it must expire,

Consum'd with that which it was nourish'd by.

This thou perceiv'st, which makes thy love more strong,

To love that well which thou must leave ere long.

 

Sunday, October 10, 2021

Coma distruši na lenga

 Kipling, a mi pàr, al diševa che “east is east and west is west, and never the twain shall meet.” E cussì, a somèa, a è cun nuàltris. E cussì, i ài poura, a restarà. Ma i provi n'altra volta: 

Su la cuestiòn daj segnaj da li stràdis i ripèt sè ch'i ài belzà dita pì sot:
“Coma sugerìt i ghi ài dàt na ocjada al Google Street View, e se cjàtiu? I cjati che su l'entrada sud di Cjasarsa (a San Floreàn) il segnàl al dìs Cjasarse, e no Cjasarsa o Ciasarsa, coma ch'i mi varès spetàt. E alora i no sìn pròpit “in cunvigne,” coma ch'i ti mi vèvis dàt da sperà. Pecjàt. A sarà vera che entri i cunfìns dal paìs i segnaj a dìšin Cjasarsa o Ciasarsa, ma chistu al è un altri par di mànis: chej di Cjasarsa o Ciasarsa a àn il dirìt di clamasi coma ca vòlin, e tu chistu i ti lu sàs miej di me. Chè che la Arlef a meti sù segnaj par mostràighi ai viagjatòus ch'a stàn entrànt a Cjasarse e no a Cjasarsa (o Ciasarsa)—che lì a è na impošisiòn dal di fòu, na impošisiòn fra 'l altri dal dut falsa, che chej di Cjasarsa (o Ciasarsa) a àn plena rašòn di cjatà ofensiva.”
La cuestiòn dal stàndard a è un puc pì complicada: a è vera che ogni nasiòn anglosàsona a àn il so stàndard a che chistu stàndard al è, in ta la so sostansa, na vura compaj dal stàndard di ogni altra nasiòn anglòfona. Ma a è altritànt vera che nisuna di chisti variàntis a à la preteša di èsi la lenga ingleša stàndard. In tal Friùl, invensi, i vìn una da li variàntis ca si proclama stàndard; e che lì a è na diferensa fondamentàl fra la situasiòn furlanòfona e chè anglòfona.
A si podarès diši (coma che purtròp a si dìs) che sensa un stàndard a la lenga furlana  a ghi mancja coešiòn, chel alc di necesari par permètighi ai furlàns di esprìmisi in ta la stesa maniera, ecc. E chista a è veretàt.
Ma a sarèsia pròpit preferìbil che i i furlàns a parlàsin e a scrivèsin dùcjus in ta la stesa maniera? Se il Friùl al fòs un stat o na nasiòn indipendenta a si podarès, encja encja, difindi la dešiderabilitàt di dàighi uniformitàt a la so lenga; ma stat a nol è, e duncja a ni mancja na vera rašòn par dàighi uniformitàt—o un stàndard— a la so lenga. Il valòu—valòu grant—da la lenga furlana al è culturàl; e al è da cjatalu in tal insièmit da li so parlàdis o variàntis, e no doma in ta una da li so variàntis.
Chej da la Arlef a cjacàrin tant da la necesitàt di tutelà e valorišà la lenga furlana. Purtròp, il insisti su na standardišasiòn bašada su una, e doma una, variànt da la lenga
al zarà a vej il efièt contrari: di “valorišà” una da li variàntis e di distruši chel complès di parlàdis cal è, o almancu cal era, la nustra lenga.
Cussì, almancu, secònt me.

Wednesday, October 6, 2021

Lenga standard?

 Coma che, sùbit sot, i ài dimostràt il tal me comènt su la lenga ingleša, il standard al è na roba ca coventa e ca no coventa. La lenga ingleša, cu li so variànts—britanica, sudafricana, americana, australiana—a ni insegna na roba na vura importanta: ca è pusìbul par na lenga di vej divièrsis variàntis cun paritàt di valòu e mèrit. Il standard al ešìst, ma al ešìst sensa che rigiditàt ca ghi sarès di intrìc a ogniduna da li variàntis di esprìmisi in ta la so maniera ùnica e distinta.

Il cašu dal furlàn al è diferènt in maniera sostansiàl. Chèl che vuej al vèn clamàt il furlàn koinè o standard al è in tal so complès il furlàn di una da li variàntis da la lenga furlana. A è coma se—in tal cašu da la lenga ingleša—la variànt australiana a vès da proclamasi standard, e che par chèl che altri variàntis a varèsin da inchinasi davànt da la australiana.
I no soj tant al curìnt da li particularitàs da li ròbis,…, ma i no cròt di ufindi la realtàt s'i pensi che al dì di vuej il insegnamìnt dal furlàn in ta li scuèlis furlànis, includìnt la universitàt di Ùdin, al vèn fàt, cun ecesiòns—s'a ešìstin—ràrìsimis, in ta doma una da li variàntis da la lenga. La stesa roba, i cròt, a vàl pur pal sopuàrt econòmic che il Friùl al risèif da Roma, e la Arlef dal Friùl, pa la tutela no di ogni variànt da la lenga ma di doma una da li so variàntis. (Ešempli: la Àrlef a è pròpit in ta scju dìs ch'a ghi ufrìs ai comùns i bes par modificà i segnaj da li stràdis, a pat che li modìfichis a si tègnin a li règulis da la marlilenghE.)
Par fala curta, … , chè di tègnisi “adun” a podarès èsi na roba amondi fàsila: bastarès che la “tutela” da la lenga furlana a ricognosès che ogniduna da li so variàntis a mèrita il stes rispièt ch'a ghi vèn dàt a ogniduna da li espresiòns da la lenga ingleša.
Ermes C
(Ps. Che la nustra biela lenga a rivi a “sorevivi” cu la esclušiòn da li variàntis a è discòrs par n'altra volta.)

Su la lenga ingleša

 GB Shaw—tant par tacà—al pensava che la grafìa da la lenga ingleša a era no doma masa complicada ma encja incoerenta; e coma dimostrasiòn a ni à lasàt dita che doprànt li règulis da la ortografìa ingleša dal dì di vuej i podarèsin scrivi fish (= pes) ušànt la gh di enough (= bastansa), la o di women (fèminis) e la ti di commotion (= comosiòn o sintimìnt) cussì che GHOTI al doventarès la stesa roba di FISH. Shaw al veva rašòn. La grafìa da la lenga ingleša a ghi fà dà na grataduta di cjaf a cuaši dùcjus chej ca scrìvin in ta sta lenga. Il stes Shakespeare, a dìšin, al à lasàt scrìt il so nòn in ta na mieša dušina di manièris. Càšus estrèmos, d'acordu. Ma encja aldifòu di scju càšus il inglèis a nol à uniformitàt di grafìa: i canadèis a scrìvin colour e metre; i mericàns, color e meter. (Una èco, chì, dal colour e color furlàns.) A Shaw a ghi varès plašùt dàighi uniformitàt e pì semplicitàt a la grafìa da la lenga ingleša e da la lenga stesa, e a è fàsil jodi parsè. Encja ai suns da la lenga ingleša a ghi mancja uniformitàt: basta sinti parlà il prìncipe Charles e paragonà la so pronuncja a che di un di New York o da la Alabama o da l'Australia o dal Sud Africa. Stesa lenga, ma cuali variasiòns in ta la pronuncja!

Suponìn che dut a vegnès cambiàt a la Shaw. A sarèsia na biela roba? Vuardàn: I Nèris daj Stas Unìs a àn la so maniera di parlà il inglèis. In teorìa a podarèsin cambià e mètisi a parlà coma ca pàrlin in Blancs; ma cuaj Blancs—chej da New York? chej da la Alabama?... O a eše miej lasà stà, e lasà che i càmbius, o modìfichis, o progrès a sušèdin in maniera spontànea, coma ca susèit in tal jazz, cal à coma esensa la improvišasiòn e no la prescrisiòn? E oservàn chistu: che la granda varietàt di manièris di parlà e scrivi il inglèis a no ghi è stàda di intrìc nè a Chaucer nè a Shakespeare nè a Melville nè a Faulkner nè a Coetze nè a Morrison, etc.

La Arlef, cun dùcjus i so sostenitòus, a è terorišada dal pensej che s'a no vèn codificada la lenga furlana a resta sbrindulada e amorfa, pròpit, po, coma la lenga ingleša. A sarèsia pròpit un pecjàt?

La realtàt a podarès invensi èsi chista: che la lenga furlana a no doventarà maj na lenga vera, coma il taliàn o coma 'l inglèis se chej ch'a la tutèlin e promòvin a no la finìsin di imponi règulis sul coma fà chistu o chèl e ca si mètin invensi a incoragjà na completa libertàt di espresiòn? A no pòsia dasi che doma fašìnt chistu a zedi a nasi in tal Friùl che creativitàt che doma chè a podarès elevà il furlàn da lenguta a lenga vera?

Su la lenga taliana

 Buna sera…

Al to p.s. (doma sul taliàn par adès) i ghi rispùnt sùbit. (Sul inglèis, s'i ghi cjati il timp, pì tars.)

Sul taliàn i rispùnt a colp par via che doma alsera i ghi ài scrit al Corriere la lètera ch'i ti jòdis chì sot. La lètera, i cròt, a rispùnt, almancul in part, a la domanda ch'i ti mi fàs. A varès da èsi clar da la lètera che il grant—grandìsin—valòu che jò i ghi cjati al taliàn al è chèl di èsi la lenga ca ghi à permetùt a scritòus coma Dante, Boccaccio, Petrarca, Ariosto, Tasso, Leopardi, Verga, Calvino, ecc., no doma di esprimi dut il so gènio poètic ma adiritura, gràsis al so gènio poètic, di parturì la lenga stesa.

Chistu, duncja, i ghi cjati al taliàn: ca nol è stàt codificàt prima di produši Dante, Ariosto, ecc., ma che a Dante, Ariosto, ecc., a ghi à vegnùt chè di esprìmisi in tal volgàr e cussì fašìnt a àn CREÀT il talián. Uchì, William, i jodìn il grant sbàliu da la Arlef: di volej codificà la lenga furlana cu la speransa che, na volta standardišada, la lenga a tachi a butà fòu in gènio dopo 'l altri. A è clar ch'a no è cussì. E di fat, il modèl dal taliàn i lu cjatàn rifletùt no tal furlàn “standart” ma ta la variànt di cà da l'aga, che, almancu fin al dì di vuej a ni ufrìs il ùnic gènio poètic ca si visina ai grancj' taliàns belzà minsonàs—il Pasolini.

Il taliàn a nol è sensa pècis, naturàl, màsima in taj nustri timps, cuant che televišiòn e giornaj a lu implenìsin di màcis cul inserighi espresiòns inglèšis che il pì da li vòltis a sòn pastrosàdis. Ma stìn atèns che chista deturpasiòn da la lenga taliana i la cjatàn encja in tal nustri furlàn—coma par ešempli cuant che i nòns tradisionaj daj nustri paìs a vègnin scartàs e rimplasàs da nòns forescj‘.

Alc sul inglèis—ma no adès.

Ridere bisogna…

 Ci sono state quest'anno, e ci sono tuttora, in tutta Italia, e non solo, ricorrenza dopo ricorrenza, lettura dopo lettura, sulle opere del nostro sommo poeta. Ed è giusto così. Viviamo in tempi di crisi, economica, sociale, e più di tutto sanitaria; e nessuno come Dante ha la capacità di farci riflettere sulle nostre forze e debolezze, sui nostri meriti e sulle nostre colpe, come lo sa fare lui nella sua Commedia.

In Dante, però, manca qualcosa che in questi giorni dominati dal Covid potrebbe esserci di grande sollievo: manca insomma quella leggerezza di spirito, quel sorriso che invece risplende, da inizio a fine, e ancor più che nell'opera di Boccaccio, in un'altro dei grandissimi capolavori della letteratura italiana, e cioè nell'Orlando Furioso dell’ Ariosto. 

Di misure anti-Covid tante ne sono state proposte e applicate: dal lavarsi spesso le mani, dal mascherarsi, dal tenersi lontani l'uno dall'altro, dal mai frequentare bar o sale da ballo (che di queste salva nos Domine), ecc., ecc.

Ma della forza del sorriso (daltronde universalmente riconosciuta come arma potentissima contro ogni male e ogni forma di scetticismo) non si è  purtroppo preso atto alcuno. Ma il rimedio esiste nella lettura del Furioso, le cui ottave garantiscono in ognuno il ritorno dei sorrisi più gioiosi.

Letto nella sua forma originale o preferibilmente (detto ovviamente senza pregiudizio alcuno) in lingua friulana, il Furioso può, come così chiaramente attestano le due ottave che seguono, trasformare in riso ogni più piccolo sconforto.


Li fèminis, i cavalièrs, li àrmis—i intrìcs, òu—

e li cortešìis jò’i cjanti, e l’imprèšis riscjòšis

cuant che i Mòrus a pasàvin taj timps indavòu

il mar africàn, fašìnt in Fransa tanti monàdis,

da li scorsàdis màtis zìnt davòu

dal re Agramànt, ca si deva àriis

di volej vendicà la muart di Trojàn

sul cjaf dal re Carlo, imperatòu romàn. 


2

Di Orlando i dišaraj in tal stes trat

ròbis maj dìtis nè’n proša nè’n rima:

che par amòu furiòus doventàt al era e mat,

da omp tant di sest e stimàt cal era prima;

se da chè che cuaši altritànt mi’a fàt,

na friguja di chel inzèn che puc a puc mi lima

chel tant a mi vegnarà concedùt

ca mi bastarà par finì sè ch’i’ai jò prometùt….



L'intera traduzione friulana, tanto per semplicificare la ricerca di chi  vuole mettersi a leggerla, e subito, è disponibile presso Amazon.com, o presso lulu.com/spotlight/ermesculos.


Wednesday, September 8, 2021

Tentasiòn di Eva

 (da Paradìs Pierdùt)

(Protagonista Satana)


..Regina di stu bièl mont, luminoša Eva, 

a mi è na vura fàsil contati dut chèl 

ch'i ti vòus ch'i ti conti, cun dirìt di vignì ubidida: 

par prin i eri coma che altri Bèstis  ca màngin 

l'erba ch'i pestasàn, cun pensèis altritànt bas 

dal mangjusà ca mi nudriva, e doma dal mangjà 

i capivi, e dal ses, e nuja, po, di pì elevàt: 

fin che un dì, zìnt, cussì, a pelandròn, intivàt 

i vevi di jodi na vura lontàn un bièl àrbul 

plen di frutàn daj colòus pì biej e variegàs, 

rovàns e doràs: dongja i ghi eri zùt par jòdilu 

pì ben, e dal fueàn a mi rivava un bon odorùt, 

che ai me sens tant di pì a ghi plaševa 

dal fenoli pì dols, o dal lat che da li tètis di sera tars

da piora o cjavra ghi colava, nò'ncjamò 

supàt sù da agnèl o cjavrùt che'ncjamò a zujàvin.   

Par sodisfà la fan rovana ch'i vevi 

di sercjà chej bièj Milùs, decidùt i vevi 

di no pì spetà; fan e sèit al stes timp, maèstris  

da la persuašiòn, il aroma impijàt a vèvin  

di chel striàt di frutàn, indavànt pocàt mi vèvin. 

Atorotòr da Tronc sùbit fàt sù mi vevi, 

che pì'n sù e'n alt da la cjera li bràghis a èrin 

par te o par Adàm. Atòr dal Àrbul 

duti che altri Bèstis , invidiòšis, a jodèvin 

cu la stesa brama, sensa podej rivà a cjòiu. 

Rivàt tal miès dal àrbul, indà che tancju milùs 

a tentàvin, i no vevi fàt di màncul di cjòini 

e mangjani a plen, che fin a chel momènt lì 

nè grèpia nè fontana màj tant gust dàt mi veva. 

Dut sglonf, dopo puc timp sintùt i vevi 

un cambiamìnt dentri di me, che un efièt 

al veva su la me fuarsa di rašonà e parlà 

che, par puc mancjada, a er'adès in ta sta forma ritegnuda. Tacànt d'adès al speculà, o bas o alt, ingranàt i vevi il me pensej, e cu na mins potenta consideràt i vevi dut chèl che jodi si podeva'n Cjèl o'n Cjera, o'n tal miès, dut chèl che bièl al era e bon; ma dut chèl che bièl e bon in te jodùt i vevi, in tal to aspièt Divìn, e'n tal raj celestiàl da la to bielesa; nisuna bielesa tant coma te  a vàl, o si visina, che costrinzùt mi à, encja se forsi cun disturbu, di vignì a mirati, e a adorati te, cun gjustìsia declarada regina da li creatùris, e universàl. Dìt cussì al veva chel furbòn di Madràs: e Eva,



Monday, September 6, 2021

Eva prima da la tentasiòn

 

Eva a Adàm:


Eva cussì rispundùt ghi veva. O tu, che par te 

e da te stada i soj formada cjar da la to cjar, 

e sensa di te sensa fin i sarès, O tu Guida me 

e Cjaf, pròpit just a è sè che dìt ti às.


A è vera che di laudalu in dut dèbit nustri al è e 

di ringrasialu ogni dì, màsima jò che al momènt 

i soj la pì contenta, che di te i gòt

che tant miej di me ti sòs, intànt che tu 

un consòrt just no ti pòdis par te cjatà.

Dal dì spes i mi recuardi cuant che dal sun 

par prin sveada i mi soj e necuarta che ripošànt 

i stevi a l'ombrena di flòus, sercjànt di capì indulà 

e cuj ch'i eri, da'ndulà capitada ch'i eri, e coma.

No tant lontàn da lì il murmujà di àghis 

i sintevi che da na caverna a vegnèvin 

e in ta un lac dal dut cujèt e pur 

coma'l cjèl serèn a si spandèvin, ulà zuda i eri 

pensànt pensèis maj pensàs, e pojada 

mi eri 'n ta la riva verda, par mirà l'aga lisa 

e clara dal Lac che a mi n'altri Cjèl mi someava. 

Sbasada ch'i mi eri par jodi, sùbit sot di me 

na forma jodi si veva fàt in tal lušòu da l'aga, 

che par jòdimi a si sbasava; tirada mi eri 'ndavòu, 

tirada si era pur ic indavòu; i tornavi contenta, 

e ic a colp indavòu a tornava cun un fa 

cal rispundeva plen di benvolej; i starès 

encjamò vuardànt, duta plena di brama, 

se sintùt i no vès na vòus višami: Sè ch'i ti jòs, 

sè che lì i ti jòdis, Creatura biela, ti sòs tu, 

cun te vegnuda a era e a và: ma vèn cun me, 

che jò i ti meni là 'ndà che nisun' ombrena a 'mpedìs 

il to vignì e li to carèsis dòlsis, indà che di luj, 

che di chèl ti sòs l'imàgin, ti pòsis godi, 

che dut to al sarà, e a luj ti ghi daràs 

multitùdins coma te, e par chèl clamada ti vegnaràs 

la Mari da la Rasa umana: Sè podarèsiu vej fàt, 

ma zighi dreta davòu di sta Guida invišìbil?

Fin che jodùt ti ài, pròpit bièl e alt, 

sot di un Platano, ma mancu bièl lo stes, 

mancu dols, cun mancu teneresa, 

di che biela e lisa imàgin ta l'aga; voltada mi eri, 

e tu davòu ti mi corèvis, sigànt fuàrt, Torna, la me Eva, 

da cuj i scjàmpitu? chèl ch'i ti scjàmpis, di chèl ti sòs, 

la so cjar, il so vuès; par dati esensa, par te voltàt 

mi soj par na banda, la banda pì dongja dal còu me, 

par dati vita sostansiàl, par ch'i ti mi stèdis in banda

d'adès indavànt e par èsimi di granda consolasiòn; 

part da l'ànima me i sercj, te i ti vuej 

coma che altra me metàt: e cun chèl la to man gentìl 

cjapàt la me a veva; lasada ghi la vevi, e da che volta 

in ca i jòt coma che la bielesa davòu ghi sta a la virìl 

gràsia e savietàt, che doma chè a è pròpit biela.


Parlàt cussì a veva la nustra Mari universàl; e movuda 

da la pì nocenta atrasiòn coniugàl, 

cun bièl fà dut modèst imbrasàt a veva 

il nustri prin Pari, cul so sen, miès nut, 

che'l so tocjàt al veva, platàt sot li strèsis 

doràdis ca ghi colàvin intòr: luj beàt 

tant pa la so bielesa e pal so fa bièl e pleàbil 

na muša ridìnt al veva, par un amòu coma chèl 

di Gjove par Gjuno cuant che li nùlis al impregna 

e plovi li fà flòus di primavera; e'n ta la bocja 

busòns purs ghi deva: voltàt si veva'l Diau 

pa l'invìdia, ma lo stes cu na ridusada maligna 

e geloša a i'u sbircjava, e'l còu si rošeava.

Paradîs Pierdùt

 


On Paradìs Pierdùt

(lulu.com/spotlight/ermesculos)




Not quite the same snake that crossed Chris’ s road yesterday (Facebook post, Sept 5/21); yet, all the same, this snake has been very much in my path over past little while, and in fact gets much of the blame for getting things to change (for poor Adam and Eve) from this:


Nectarine fruits which the compliant boughs

Yielded them, side-long as they sat recline

On the soft downy bank damasked with flowers:

The savoury pulp they chew, and in the rind,

Still as they thirsted, scoop the brimming stream;

Nor gentle purpose, nor endearing smiles

Wanted, nor youthful dalliance, as beseems

Fair couple, linked in happy nuptial league,

Alone as they.  About them frisking played                              340

All beasts of the earth, since wild, and of all chase

In wood or wilderness, forest or den;

Sporting the lion ramped, and in his paw

Dandled the kid; bears, tigers, ounces, pards,

Gambolled before them…


to this, where:


Adam to himself lamented loud,

Through the still night; not now, as ere Man fell,

Wholesome, and cool, and mild, but with black air

Accompanied; with damps, and dreadful gloom;

Which to his evil conscience represented

All things with double terrour:  On the ground                          850

Outstretched he lay, on the cold ground; and oft

Cursed his creation…


and Eve herself begs him to:


Forsake me not thus, Adam! witness Heaven

What love sincere, and reverence in my heart

I bear thee, and unweeting have offended,

Unhappily deceived!  … Forlorn of thee,

Whither shall I betake me, where subsist?

While yet we live, scarce one short hour perhaps,

Between us two let there be peace; both joining,

As joined in injuries, one enmity

Against a foe by doom express assigned us,

That cruel Serpent….


Anyway, how all this happens is the task of John Milton to tell in his Paradise Lost, which in my latest work becomes Paradìs Pierdùt, a translation of key parts of Milton's work in the Friulian language. (For anyone mad enough to want to find out, incidentally, Paradìs Pierdùt can be found at lulu.com/spotlight/ermesculos, while the Friulian rendering of the above can be found at culosermes.blogspot.ca .)


La mia traduzione del Paradise Lost di Milton si concentra sugli eventi che portano dallo stato iniziale, quando nell'Eden tutto era innocenza e gioia e armonia, come in questo passo:


“…nsièmit pojàs a stèvin (Adamo ed Eva) in tal bièl vert da la riva di flòus colorada:

i armelìns a ti godèvin e cu la so scusa pa la sèit aga a cjapàvin sù da la curìnt; 

nè buna volontàt di fà, nè un bièl ridi di muša no ghi mancjava, nè chel fà schersòus e beàt

che cussì ben e tant ai zòvins ghi conferìs, nuvìs coma lòu. 

Atòr di lòu contèntis a saltusàvin duti li Bèstis di sta cjera, da 'ncovolta salvàdis, 

in ta bosc o dešèrt, foresta o tana; il leòn a si la godeva a zujà, 

e cu li sàtis na cjavruta al caresava; ors, tìgris, pùmas, 

pàrdos a saltusàvin atòr di lòu…”


a questo passo, dove vediamo che il povero Adamo:


                                 “…si lamentava, adès no 

coma prin dal colà, di sè stes sigùr e plen di cunfidensa, 

ma di aspièt neri e cu na siera dal dut bruta che a la so 

Cosiensa nera dut jodi a ghi feva cun teròu dopli: 

distiràt par cjera frèida al steva, e spes 

il Creàt al bestemava…”


e il pianto stesso della sconsolatissima Eva:


“…Nosta lasami, Adàm; cal sedi il Cjèl testimoni dal grant ben, 

e da la riverensa che'n tal còu i ài par te, e che sensa intìndilu 

ufindùt ti ài e purtròp inganàt; i soj chì ch'i ti domandi, ch'i ti prej, 

ch'i t'imbrasi i zenoj: nosta bandonami, che par te i vìf, il to bièl aspièt, 

il to judami, il to consolami in ta stu brut, ma brut momènt, 

l'ùnica me sostansa e punt stàbil: sensa di te, indulà i zaràju, coma i faràju a vivi?

Intànt ch'encjamò vifs i sìn, n'altra oruta forsi, lasa chei fra di nu in pas i restani, 

insièmit, unìs cuntra'l mal, unìs in aversitàt cuntra un Nemìc ca ni è stàt metùt davànt,

chel crudèl di Sarpìnt…”



Wednesday, July 14, 2021

Tocùt dal Eden

 (Shut Out


The door was shut. I looked between

Its iron bars; and saw it lie,

My garden, mine, beneath the sky,

Pied with all flowers bedewed and green:


From bough to bough the song-birds crossed,

From flower to flower the moths and bees;

With all its nests and stately trees

It had been mine, and it was lost.


A shadowless spirit kept the gate,

Blank and unchanging like the grave.

I peering through said: ‘Let me have

Some buds to cheer my outcast state.’


He answered not. ‘Or give me, then,

But one small twig from shrub or tree;

And bid my home remember me

Until I come to it again.’


The spirit was silent; but he took

Mortar and stone to build a wall;

He left no loophole great or small

Through which my straining eyes might look:


So now I sit here quite alone

Blinded with tears; nor grieve for that,

For nought is left worth looking at

Since my delightful land is gone.


A violet bed is budding near,

Wherein a lark has made her nest:

And good they are, but not the best;

And dear they are, but not so dear.)


In ta sta poešìa da la Rossetti il paradìs terestri al è zùt pierdùt. I no savìn parsè. I savìn doma che chistu paradìs a ghi apartegneva a ic. I savìn pur ch'a si sìnt mal a èsi lasada fòu. E i savìn encja, secònt sè ch'i lešìn a la fin,  che ic a è rasegnada a no podej pì entràighi in ta stu paradìs. A èšia ic responsàbil par veilu pierdùt? I no lu savìn; ma alc i savìn: ca è condisiòn umana chè di savej ca ešìst alc ch'i varèsin gust di vej ma che da chèl, ca sedi o no par colpa nustra, i sìn sieràs fòu. In ogni cašu ic a si rasègna a godi chel puc ca à, ben savìnt ca nol sarà maj coma chèl ca veva vùt. Coma in tal “Infinìt” dal Leopardi i vìn encja chì la cosiensa di un mont tant pì grant dal nustri, e sinò altri la rasegnasiòn di vej alc che almancu un puc a ghi somèa.

 

In tal paradìs terestri, insoma, i no sìn encjamò entràs, che belzà i sintìn lamìns di vèilu pierdùt, coma chej di Blake e da la Rossetti. Ma no doma di chej. I sintìn scju lamìns encja dal Dylan Thomas, e fuàrs.



Fern Hill


Cuant che frutùt i’eri e ’nocènt sot li fràscjs daj milusàrs 

atòr da la me ritmica cjaša e contènt coma’l vert da l’erba, 

cu la nòt stelada ’nsima da la boscheta,

il timp a mi lasava zujà e zighi sù

dut’ndoràt tal estàt daj so vuj,

e famòus fra i cjars e carètis i’eri prìncipe daj borcs daj milùs, 

e’n ta chej dìs sot dal timp coma un re i lasavi che moràrs e fuèis 

a zèsin cul òrzul e li margarìtis

davòu daj fluns di lus butàs jù dal vint.


E intànt ch'i eri vert e sensa nisùn pensej, famòus ta li stàlis 

inziru dal curtìl alegri e cjantànt dal ort e da la cjaša,

in ta chel soreli cal è zòvin na volta e basta,

il Timp a mi lasava zujà e èsi

coronàt di oru in ta la so bontàt e grasia...


(Now as I was young and easy under the apple boughs 

About the lilting house and happy as the grass was green, 

The night above the dingle starry,

Time let me hail and climb

Golden in the heydays of his eyes,

And honoured among wagons I was prince of the apple towns 

And once below a time I lordly had the trees and leaves 

Trail with daisies and barley

Down the rivers of the windfall light.

And as I was green and carefree, famous among the barns 

About the happy yard and singing as the farm was home, 

In the sun that is young once only,

Time let me play and be

Golden in the mercy of his means....)



Il paradìs terestri, chì, al doventa il mont di cuant ch'i èrin frutùs, un mont di maravèis che adès a nol è pì e che maj al tornarà. Da notà, chì, a è che il grant pecjàt ca ni à fàt pierdi stu ort (paradìs) al è stàt chèl di cresi; ma par nuàltris il cresi, cal vòu diši il pierdi da la nustra nocensa, al era inevitàbil. Al èria, in ta la so maniera, inevitàbil encja il pecjàt di Adàm e Eva? Al è un argumìnt, chistu, cal rispuntarà pì tars. Par adès, però, i vuej fermami e dàighi na ocjada al Romeo e Gjulieta di Shakespeare cal à radìs, a somèa, un puc furlànis. Tal mont di Romeo e Gjulieta, i jodìn pur na storia che, coma chè di Adàm e Eva, a taca cun un stat di pura nocensa ma  che, cul pierdi—inevitàbil—di sta nocensa, dut a càmbia, e no sempri in ben. Dinghi na ocjada, e dopo tornàn par un momènt a višità chel stat di nocensa, duràt un lamp, che da frutùt a mi veva tegnùt inglusàt, coma cal veva tegnùt inglusàt il frutùt di Fern Hill.



Èco chì, alora, Romeo e Gjulieta, ic tal pajou di cjaša so, luj platàt in tal so ort subit sot dal pajòu.



Gjulieta

O Romeo, Romeo! parsè i sotu, tu, Romeo?

Dinèa to pari e dinèa pur il to nòn;

o, s’i no ti vòus, promèt di volèimi ben,

e jò i no saraj pì na Capelèt.

Romeo

(A sè stes) I àju da sinti di pì, o i ghi rispùndiu?

Gjulieta

Al è doma ’l to nòn cal è nemìc me;

ti sòs, tu, sè ch’i ti sòs, ma no un Montechìn.

Sè’l eše un Montechìn? A nol è nè man, nè piè,

nè bras, nè muša, nè nisùn altri toc

che a un omp ghi apartèn. O, parsè no àtu ’n altri nòn?

Sè ca è in ta un nòn? Chè ch’i clamàn na roša

la stesa fragransa a varès sot cualsìasi altri nòn;

encja Romeo, se Romeo clamàt nol fòs,

al mantegnarès lo stes la perfesiòn cal à

sensa chel tìtul. Romeo, gjàviti chel nòn,

e in cambiu di chel nòn ca no ti apartèn,

ti pòs vèimi me, duta, ma duta me.

Romeo

I mi tèn alora a la to peraula.

Clàmimi amòu, e i sarai batiešàt di nòuf;

d'adès in davànt i no saraj pì Romeo...



(Juliet:

O Romeo, Romeo! wherefore art thou Romeo?

Deny thy father and refuse thy name;

Or, if thou wilt not, be but sworn my love,

And I'll no longer be a Capulet.

Romeo:

[Aside] Shall I hear more, or shall I speak at this?

Juliet:

'Tis but thy name that is my enemy;

Thou art thyself, though not a Montague.

What's Montague? It is nor hand, nor foot,

Nor arm, nor face, nor any other part

Belonging to a man. O, be some other name!

What's in a name? That which we call a rose

By any other name would smell as sweet;

So Romeo would, were he not Romeo call'd,

Retain that dear perfection which he owes

Without that title. Romeo, doff thy name,

And for that name which is no part of thee

Take all myself.

Romeo:

I take thee at thy word:

Call me but love, and I'll be new baptized;

Henceforth I never will be Romeo...)


I jodìn Romeo e Gjulieta, chì, a la fin da la prima e ùltima nòt ca pàsin insièmit da zòvins maridàs. A è clar ca si bràmin cussì tant ca vorèsin che la nòt a duràs par sempri par no vej maj da separasi. Ma separasi a ghi tocja, che sinò Romeo al riscja di vignì arestàt e condanàt a muart. La so voja mata di restà insièmit, e il so timòu di vignì separàs a sòn ogetificàs da la lòdula e dal ušignòu, usiej da la matina e da la sera. La tradisiòn in ta la poešia ingleša di ušà chista sorta di imàginis a và indavòu fin a tant timp prima di Shakespeare, e a veva da doventà encjamò pì fuarta, chista tradisiòn, sècuj dopo di luj, in tai timps daj grancj’ romàntics, coma Shelley, Wordsworth e Keats. Shakespeare, par ešempli, al pòl ben èsi stàt motivàt da Chaucer, cal uša la figura da la lòdula in tal so Canterbury Tales, cuant che in ta una da li so storiùtis al clama la lòdula “bisy larke, mesager of day” ( “cjacarona di lòdula, mesagera dal nòuf dì”). Chistu ušu dal dut poètic al pòl—par sigùr—èsi stàt la ùnica motivasiòn di Shakespeare in tal so insìsti su chisti imàginis. Lo stes, a no eše strana—e justa—la congruensa fra chista ešigensa poetica e doj zòvins ca cognòsin cussì benòn li caraterìstichis reàlis daj doj usiej?


A somèa strana, sì, a mi pàr che cualchidùn al rispundi. E alora?


Par rispundi a stu alora a mi tocja fà na corsa indavòu in taj timps cuant ch’i eri encjamò frutùt. Cuant ch’i eri frutùt il mont al era na vura diferènt; e una da li diferènsis pì gràndis a era chè daj suns, daj rumòus. In tal borc indulà ch’i stevi il rumòu pì fuart, cal copava ogni altri sun, al era il rumòu dal treno, chel treno di doj vagòns (la Liturina par nuàltris fioj) che divièrsis vòltis in dì a ni pasava coma un lamp e coma un ton davànt di cjaša in ta la so corsa fra Cjasarsa e San Vit; e dopo di San Vit i savèvin che il treno al parava via a cori fin cal rivava in ta poscj’ che par nuàltris frutùs a èrin cussì lontàns da no fà pì part dal mont ch’i cognosèvin. Stu treno, insoma, aldifòu di fani rindi cont che pasàs i cunfìns dal nustri borc a ešistèvin, forsi, altri borcs e altri paìs, al cambiava di puc il vàevèn da li nustri zornàdis, encja se par cualchi secònt a ni feva voltà il cjaf vièrs la ferata; e li gjalìnis stèsis par un momènt a si dismintiàvin di sgarfà parcjera, e pal scumbusulamìnt a ti fèvin na cocodecada o dos in pì e fòu di post. Cul lontanasi dal treno dut a tornava normàl: li gjalìnis a sgarfàvin beàdis in tal curtìl se ben che ogni tant a lasàvin di becotà e a si sbasàvin par no ufindi il gjal che cun la so cresta in bora a si feva dongja par montà sù’n ta la so schena; i pursìs a ti dèvin encja chej na rugnada ogni tant par fàighi savej a la nona ca era ora di mangjà na panola o dos; i gjàs, o ca si’u jodeva distiràs in ta un postùt al soreli cà o là, o che sidìns sidìns a si visinàvin a na pasaruta, prons par saltàighi intòr e fàighi taši chel cip-cip ca ti feva mentri ca saltusava in tal curtìl in sercja di cualchi vierùt o gragnèl di furmìnt. I rumòus dal curtìl, insoma, s’i fìn ecesiòn pal cjantà di cualchi pasaruta o altri usielùt, a èrin caušàs dal polàn e da li bèstis di cjaša; e, aldifòu di chej secòns cuant che frastonànt a pasava la Liturina, a èrin rumòus, chìscjus, ca no vèvin encjamò nisuna concorensa nè cul rumòu da li màchinis nè da li ràdios e televišiòns che entri cualchi àn a vèvin da tacà a sturnì dapardùt. Ma intànt che encjamò a si tegnèvin lontànis li maravèis da la mechanica e tecnologìa che, voja o no, a sòn vuej dovèntàdis part da la nustra realtàt, fioj e vècjus e bèstis a paràvin via a vivi in ta na sintonìa che, se ben ca no era sensa pècis, a ju tegneva, in tal so complès, contèns, encja se ogni tant alc a susedeva ca ghi feva pierdi la pasiensa fin a la nona, coma in ta chel dopodimisdì cuant che un daj me fràdis, che’ncovolta al va rà vùt sì e no doj àis, al era lì sintàt in tal curtìl mentri che atorotòr di luj na clocja a ghi insegnava a becotà ai so pitìns; e luj, cuant che un pitinùt a ghi pasava dongja, cun un murielùt cal veva in man, a ghi feva tòc tòc tal cjaf, e il puòr pitinùt al colava jù muart; e cuant che la nona a si visinava il nini, sigùr di fala contenta, a ghi diševa, “Jòt, nona, pitinùt nana.” E la nona, cun li mans in taj flancs, a ghi deva na ocjada di chès…


A èrin dìs, chej, che encja cul vignì dal scur a ufrìvin sensasiòns che, par bièlis o brùtis ca sèdin stàdis, vuej i no li sintìn pì. Li stèlis, ca lušèvin cussì luminòšis e che cuaši cuaši a tocjàvin i cops da li nustri cjàšis, a somèa che vuej a si sèdin lontanàdis e a no brìlin pì coma na volta. In ta li nòs cjàldis dal mèis di zuj li stèlis a vegnèvin adiritura jù da la galàsia in forma di lušìgnis, e nuàltris frutùs i gh’i corèvin davòu e i si implenìvin li mans di stelùtis. Di unvièr, cuant che li nòs a èrin masa frèidis par zujà là di fòu e li lušìgnis a èrin encja chès masa ingrišignìdis par fasi jodi, i corèvin in tal cjaldùt da li stàlis, indulà che li stòris ca filàvin sù i grancj’ a èrin compagnàdis dal rumià da li vàcis o dal sclocà da la coda di na vacja ca sercjava di tegni lontànis li mòscjs da la so schena, e ca someava na batuda di mans: e chisti stòris a no contàvin sempri di Genovefa di Brabànt e di coma che li virtùs prima o dopo a vegnèvin premiàdis; no, a contàvin pur—e na vura pì spes, màsima chès daj bàrbis che, fra na manada di fen e ’n àltra, o fra forcjàdis di ledàn—di che flamùtis blu, movùdis apena apena da l’ariuta, ca jodèvin dentri dal simiteri di Par da Pos cuant che sul tars da la sera a tornàvin a cjaša daj cjamps. E nuàltris—ocòria dìšilu?—sidìns sidìns i si tegnèvin stretùs in ta li còtulis da li fèminis.


E cul cresi i si lontanàvin, nuàltris fioj, sempri di pì dal curtìl di cjaša e puc a puc i zèvin paj cjamps fin a li pì lontani Sèdulis, che pì lontàn no i no zèvin, esìnt chès la fin dal mont ch’i cognosèvin. E pì che in tarda primavera i si visinàvin a li Sèdulis e pì dut a si feva sidìn, un sidìn ròt ogni tant dal bajà di un cjan ca si sinteva in lontanansa, o dal rumòu che un contadìn a ti feva di matina bunoruta cuant ca si fermava par ingusà il so falsèt, ma pì di dut dal cjantà daj usiej, che a vòltis al era cacofònic, coma chèl da li chèchis e da li gjàis, ma che tant pì spes al era dols e melòdic coma il pirulà daj mièrlis, daj gardelìns, da li lòdulis e daj ušignòj.


Vuej scju usiej a pàrin via a cjantà—il cjantà al è la so maniera di marošà, dopodùt—ma par tanti rašòns i no lu sintìn pì coma in ta chej àis cuant che, da frut, i ghi dedicavi tant timp a zì in sercja di nis; e sens’altri i no lu sintìn pì coma cuant che in taj pras e cjampàgnis di un nustri Friùl che encjamò—in taj timps di Da Porto—a nol cognoseva stràdis e autostràdis straplènis di che sorta di màchinis ca ti fàn chel cašìn di ròmbul ca lu àn rimplasàt, ma  cal era invensi tajusàt, cà e là, da tròis da’ndulà che chej ca ghi cjaminàvin intòr a podèvin scoltà il cjantà da li lòdulis o daj ušignoj in plena trancuilitàt.  


Tornàn alora indavòu ai timps di Luigi Da Porto e di Lucina Savorgnàn, i doj maròus protòtipos di Romeo e Gjulieta. I savìn che Luigi al à lasàt scrìt la incuadratura, par taliàn, da la storia daj doj zòvins sfurtunàs, ma da chista so incuadratura a no ni è pusìbul capì se luj al veva o no che cognosensa ìntima dal mont da li lòdulis e daj ušignoj ca ghi stàn cussì tant a còu ai doj zòvins ricreàs e dramatišàs da Shakespeare. A pòl dasi. Di doma na roba i podìn èsi sigùrs, ca sarès chista: che, coma dimostràt, magari in ta na maniera un puc greša, da la me digresiòn, il contadìn furlàn a nol era na figura vuèita di ogni sensibilitàt coma chel puòr omp in tal cuadri di Millet; li ròbis ca tocjàvin, in tal bièl e’n tal brut, i sintimìns dal contadìn in taj sècuj pasàs a èrin li stesi ròbis ca àn lasàt rodàis fòndis in ta la me memoria da frut.  Al era, chel contadìn, dut un cul mont da la natura, cuj so rìtmos, cul crasulà da li gjàis e cun li melodìis da li lòdulis e daj ušignoj. A no ghi ocoreva a stu contadìn di èsi siciliàn par meretà la mùšica dal Mascagni.


Ma a nol era, purtròp, bon da scrivi; e par chèl, se ben ca nol era sort, al restava mut. La mišeria pì nera, coma ca la pensa Thomas Gay,


… smuarsàt ghi veva il so nòbil furòu,

e’ngelàt chèl che di pì bièl al veva’n tal còu.


Li càušis di chista mišeria i cròt ch’i li cognosìn; ma di chès, par adès, lasàn stà. Na roba a pòl dani cunfuàrt: chista mišeria i la vìn cognosuda, ma a era, che lì, na mišeria misturada cun chel cualchicjusa di edènic ca ghi feva da companadi.