Friday, May 3, 2024

Furlàn comùn

 Il friulano comune riesaminato


 

L'opuscolo La grafie uficiâl de lenghe furlane (Gulf) ha come presupposto fondamentale il concetto della necessità di una variante comune, conosciuta e usata da tutti i friulani. Tale variante comune è ritenuta necessaria per varie ragioni:


“La lingua inizia a comparire negli atti e nei messaggi pubblici e istituzionali . La forma della lingua deve essere uguale su tutto il territorio. L’ufficialità di una lingua si coniuga con la pratica di una variante unica della lingua.” (Gulf, p.66) 


“È il caso del Friuli, che se non utilizzasse una lingua friulana comune laddove serve, per tutte le funzioni necessarie, finirebbe con il lasciare che fosse la lingua italiana a svolgere le funzioni di lingua comune.” (Gulf, p.66)


“La lingua che non ha individuato un modello comune o vive solo nelle proprie varianti naturali perché appartiene ad una società non sviluppata che non sente il bisogno di una forma di comunicazione complessa per una vita sociale ed economica complessa, o lascia il posto ad una lingua diversa che svolge le funzioni che può svolgere solo una lingua comune, perché appartiene ad una società sviluppata e complessa.”


Osservazioni:


1. Nella prima di queste tre premesse: se una lingua comune è veramente necessaria è giusto che la lingua sia uguale per l'intero Friuli. Ciò che si può disputare, però, è che tale lingua comune sia veramente friulana e necessaria. Una lingua comune da usare in funzioni ufficiali, nei giornali, nella radio e televisione, ecc., è essenziale, certo; ma è veramente necessario che questa lingua sia una variante del friulano? Non può essere semplicemente l'italiano? E l'italiano—non dimentichiamolo—è de facto la lingua comune in Friuli come lo è in tutta Italia. E questo—notiamolo—non è nè un bene nè un male: è semplicemente la realtà. In quanto alla terza premessa: è vero che una lingua che non ha individuato una variante comune nell'ambito della propria lingua lascia il posto a una lingua diversa, come, nella maggior parte dei casi, la lingua italiana; o, nel caso di emigrati come me, la lingua inglese. Questa terza premessa ritiene pure, come ipotesi, che ci sono dei friulani “che vivono nelle proprie varianti naturali perchè (appartengono) a una società non sviluppata, ecc.” È forse corretto concedere che fino a qualche decennio fa (prima ancora che si parlasse di lingua comune) i friulani non erano “sviluppati” come lo sono oggi; ma non c'è alcun dubbio che il friulano lo mantenevano vivo e vibrante, anche se spezzettato. Gli autori di questo opuscolo potrebbero pure notare, volendo, che pure oggi—e nonostante i numerosissimi giovani che scelgono l'italiano come lingua comune—sono le varianti del friulano che alimentano la nostra lingua. Come prova si noti l'uso spontaneo delle varianti in siti Facebook come Achì, si scrîf e si rît nome in furlan (e cjargnel).


2. A pagina 67 l’opuscolo risponde alla domanda del perchè muoiono “le varianti di una lingua.” I motivi offerti sono tutti validi. È da notare, però, che i motivi offerti sono validi non solo per le varianti ma per la lingua stessa, nel senso più largo della parola. L'ultimo dei motivi offerti è che “i friulani che ancora parlano friulano tralasciano il friulano per la lingua italiana quando fanno discorsi impegnati, quando si relazionano nelle scuole, negli uffici, nel luogo di lavoro, o anche solo quando scrivono la nota della spesa o una lettera privata.” È una chiara ammissione, questa, che i friulani non hanno bisogno di un friulano comune;  nella lingua italiana questa lingua comune la hanno già trovata. Sottolineo che quando dico che i friulani non hanno bisogno di un friulano comune non intendo dire che la variante che oggi la ARLeF ritiene come lingua comune non abbia importanza; no, la importanza ovviamente ce l'ha, come la ha ognuna delle altre varianti della lingua friulana; anzi, più ancora, dato il maggior numero dei suoi parlanti, e dato il fatto che storicamente è forse più ricca (almeno nel campo della letteratura) delle altre varianti. È giusto, perciò, riconoscerne il grande valore culturale. Ma l'elevazione a lingua comune è tutt'altra cosa.


3. A pagina 67 la ARLeF espone la sua posizione riguardo alla lingua comune e alle varianti.

La lingua comune, leggiamo, (1) “non è proposta in sostituzione delle varietà locali friulane, ma a perfezionamento della comunicazione, per comunicazione di larga diffusione, giornalistica o saggistica, nelle scuole e nei testi scolastici che non possono essere editati tanti quante sono le varianti; (2) la variante di lingua può vivere nell’uso parlato, o nella poesia, o in altre forme comunicative che valorizzano la soggettività degli autori; (3) le varietà del friulano possono sopravvivere non se la propria lingua di riferimento alto e generale rimane l’italiano, ma il friulano comune”


Analisi dei tre aspetti della posizione ARLeF:


  1. La validità di questo primo aspetto è innegabile se si ritiene essenziale la creazione di una lingua comune; ma come già indicato (Osservazione 2), i friulani hanno già scelto la lingua italiana, e non una variante friulana, come lingua comune, sicché anche la validità di questo primo aspetto manca di solidità. Merita un'osservazione pure l'uso del friulano nelle scuole. È vero che l'insegnamento di un friulano storico e frammentato è difficilmente possibile, e che quindi quì è necessaria una uniformità di metodi. Ma esiste il rischio (da non sottovalutare) che la scelta di una variante nel campo dell'insegnamento abbia come naturale effetto la svalutazione delle altre varianti. (Il ragazzino che torna da scuola e che dice ai genitori che parlano un friulano scorretto non dovrebbe essere cosa da ignorare.) Ma veniamo al secondo aspetto.


2. Una variante—ci assicura la ARLeF—può vivere nell’uso parlato, o nella poesia, o in altre forme comunicative che valorizzano la soggettività degli autori. A prima vista questa dichiarazione sulle varianti merita un elogio, anche se l'asserzione che una variante “può vivere nell'uso parlato” dev'essere letta in un contesto più ampio, che include la convivenza della variante con la “lingua” comune, la prima delle quali rischia di essere ritenuta inferiore all'altra per lo stesso motivo che per l'alunno la variante di casa può essere ritenuta inferiore alla variante insegnata a scuola.

Ma in questo secondo aspetto c'è di più: la ARLeF ci assicura pure che una variante può vivere nella poesia, o in altre forme comunicative che valorizzano la soggettività degli autori. Questa asserzione meriterebbe pure essa un netto elogio se non fosse che—a mio parere—l'asserzione è in contrasto fragoroso con la risposta datami (come abbiamo visto più sopra) dalla ARLeF lo scorso gennaio in occasione della mia richiesta di assistenza per la promozione dei miei ultimi lavori (inclusa la traduzione integrale della The Tempest di Shakespeare), cioé che “l’ARLeF valorizza le opere realizzate nelle varianti della lingua friulana se scritte in grafia ufficiale.” Cerco di capire se c'è coerenza fra queste due dichiarazioni, ma non ci riesco. Se un'opera scritta un una variante viene valorizzata solo a patto che sia scritta in grafia ufficiale (o comune) allora di che tipo di valorizzazione stiamo discorrendo?

Ma vediamo se riscrivere i miei lavori in grafia ufficiale sarebbe possibile o desiderabile.


Potrei, è vero, sostituire una “e” al posto di una “a” alla fine di tanti sostantivi femminili, come femine invece di femina, paste invece di pasta, strade invece di strada, ecc. Potrei scrivere colôr o amôr o profesôr invece di colou(r) o amou(r) o profesou(r); o fogolâr invece di fogolàr, ecc. Potrei, certo. Ma se ciò facessi, rimarrei fedele alla mia variante della nostra lingua friulana?


Nell'accettare—dico meglio—nel proporre cambiamenti di questo genere, non invita la ARLeF allo sfregio, addirittura al tradimento di una tradizione linguistica secolare?


Ma pur supponendo che io (tanto per dire) volessi inchinarmi a questa imposizione, fino a qual punto gioverebbe la grafia ufficiale a rendere perdonabili tantissimi vocaboli che fanno parte del lessico della variante occidentale ma che non esistono nella variante “comune,” come, per dare alcuni esempi: ic (lei), zì (andare), grin (grembo), mùcul (chierichetto), sclòfula, svignà, sciapinela, singlus, grampa, e làip?


Non è, a proposito, per puro caso che Pasolini (per molti il poeta friulano più significativo dei nostri tempi) scelse il friulano occidentale, variante casarsese, per le sue opere giovanili; lo scelse per il semplice motivo che in esso Pasolini vedeva una lingua sostanzialmente differente dal friulano centrale (rivestito a friulano comune dopo la sua scomparsa) e del tutto incontaminato da convenzioni. Tengo a precisare che il friulano che uso io nelle mie traduzioni è praticamente identico al friulano casarsese e quindi a quello usato dal Pasolini. La differenza di maggior rilievo è questa: che io uso raramente le doppie, e le uso raramente per rispecchiare la realtà che il casarsese parlato non le usa, o le usa raramente. Le doppie—in una grafia convenzionale—servono per distinguere le differenze di significato  in espressioni come “musa” (faccia) e “mussa” (pigra o asina), o come “cjasa” (casa) e “cjassa” (caccia), ecc. La  soluzione: far uso del simbolo “š” per indicare la s sonora fra due vocali, e la semplice “s” per indicare la s sorda fra due vocali. così: “cjaša” e “cjasa” per indicare casa e caccia rispettivamente, ecc.


Da notare: che la guida ARLeF ci dice che il modo corretto di usare la s intervocale sonora è di fare come si fa in italiano in parole come rosa, mese, cosa, ecc. Veramente semplice—solo che questo suggerimento è di pochissimo aiuto per coloro che desiderano apprendere il friulano ma che la lingua italiana non la conoscono. Ma i friulani già conoscono l'italiano, ribatterà la ARLeF. Giusto: già lo conoscono; il chè vuol dire che i friulani sono già in possesso di una lingua comune; il chè mette pure in dubbio—come già notato più sopra— la necessità di un friulano comune.


E con tutto ciò?


Si può, da tutto ciò, trarre delle conclusioni? In particolare, si deve dunque abbandonare l'idea di un friulano comune? Se per friulano comune intendiamo la scelta ed elevazione di una delle varianti a lingua ufficiale, allora quanto detto più sopra indica che l'idea stessa sarebbe da rigettare, e sarebbe da rigettare perchè dannosa alla sopravvivenza delle altre varianti e quindi alla cultura friulana. E stimo che su questo non ci sia disaccordo: senza il contributo di tutte le varianti, quella centrale inclusa, la cultura friulana cesserebbe di esistere, o perlomeno diverrebbe irriconoscibile rispetto alla cultura friulana storica e tradizionale. Come già osservato, la insistenza su un'unica grafia per tutte le varianti, la insistenza sull’uso di una, e di una sola, variante nelle scuole, la mancanza di precisione sul significato di valorizzazione, la mancanza di appoggio significativo per coloro che dedicano la loro creatività ad aspetti artistici o culturali aldifuori delle esigenze della cosiddetta lingua comune—tutto ciò, purtroppo, è indizio che la nostra cultura è già in fase di palpabile logoramento.


Troppo tardi per fare un dietro front. Ma rimediare si può, almeno in parte. Di massima importanza è di riconoscere il valore di tutte le varianti in quanto, nel loro insieme, generatrici della cultura friulana; e ciò può essere realizzato in modi diversi, come, tanto per dare alcuni esempi: la creazione di un comitato, con rappresentanza da ogni variante della lingua, col compito di valorizzare (nel senso migliore della parola) gli aspetti più significativi di tutte le varianti, e di aggiornare il Grant Dizionari, rendendolo veramente grande con l'inclusione nel dizionario di contributi da tutte le varianti; la creazione di pagine socials (Facebook, Instagram, etc.) con la più ampia rappresentanza linguistica; l'incoraggiare la partecipazione, se necessario sussidiata, di esponenti di ogni variante di partecipare a eventi linguistici o culturali; con il tenere al corrente tutti gli enti social-culturali sparsi in Friuli e nel mondo (eg, fogolârs furlans) di ogni significativa attività linguistica e culturale.


Basterebbero queste iniziative? Quasi sicuramente no, ma sarebbero un buon inizio.



Ermes Culòs

Ashcroft, aprile 2024 


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