Wednesday, March 29, 2017

The Waste Land

Brano tratto da un commento sulla mia traduzione friulana della Waste Land di Eliot (lulu.com/spotlight/eculos)

“...Questo cenno alla wasteland ci porta di nuovo al nostro argomento principale, ma prima di tornare a Eliot mi sento di dover fare un’osservazione su un aspetto alquanto bizzarro della discarica moderna, come è quella vicino a Cache Creek (considerata tale almeno dalle autorità locali). Queste autorità locali stanno attualmente cercando di ottenere l’approvo di una banda indiana locale (nel cui territorio è situata la discarica ) per proseguire con una notevole espansione del progetto. Una giovane donna, che appartiene a questa banda indiana, mi ha suggerito giorni fa (nell’evidente tentativo di convincere se stessa che la discarica non può essere un male assoluto) che nel corso dei secoli la discarica potrebbe diventare qualcosa di prezioso—una sorta di miniera di cose rare e preziose gettate via dalle persone di generazioni precedenti. Tutti ricordiamo l’ottimismo dell’anziano José Arcadio Buendía (il patriarca di Cien años de soledad), che anche in un periodo in cui a Macondo nessuno riusciva più a dormire e tutti erano terrorizzati dal pensiero di non essere mai più in grado di ricordare niente, José Arcadio Buendía non si perse mai di coraggio, e in questa stessa occasione critica si metteva a sognare una macchina della memoria, per merito della quale nessuno avrebbe mai dimenticato  nulla, né quello che aveva fatto il giorno prima, né i nomi degli uccelli di Macondo, né niente di niente. Anche se fondamentalmente delirante, José Arcadio Buendía sarebbe quindi stato il primo a riconoscere le nostre discariche moderne—soprattutto quelle mega sanitarie—non come sconfinati cimiteri di immondizie ma come musei della nostra memoria collettiva, che per Carl Jung sarebbe né più né meno che una Kollektive Unbewusste. Se per qualche strana coincidenza capitasse che un giorno si trovassero nei paraggi Jung e José Arcadio Buendía, accompagnati magari dalla giovane indiana, non sarebbe per nulla da meravigliarsi se li vedessimo piegati su uno dei cumuli intenti a scavare nella sporcizia—come il cane di Eliot—per oggetti di valore archetipico; e non dovremmo neppure meravigliarsi se vedessimo, in un altro cumulo di questo cimitero di ricordi, Eliot stesso alacremente occupato a graffiare via nella porcheria con le unghie e, ogni tanto, recuperare qualcosa che, come accade al principe danese quando scruta il teschio gettatogli dal becchino, gli riporta alla memoria altre persone, altri tempi, altri eventi...”

Un strambolòt? Certo, ma...



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